Giuseppe Giannini e l'esordio amaro con la Roma

Giuseppe Giannini e l'esordio amaro con la Roma

Il Principe ha scritto un pezzo di storia del club giallorosso, ma il suo debutto con la Lupa fu segnato dal ko contro il Cesena: riviviamo quel pomeriggio nel racconto di chi era presente all'Olimpico

Cesare Mariconda/Edipress

31.03.2024 ( Aggiornata il 31.03.2024 07:01 )

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Roma, 31 gennaio 1982

Fior de poi, non s'ha da mette 'r carro avanti ai buoi

Le storie romanesche sanno fregare come l'ironia schietta di una boccia di Frascati e vanno raccontate "co' 'na scucchia rivortata 'nsù a uso de cucchiaro" tra i tavolacci di Trastevere o ancor meglio tra le botti dei Castelli.

Lo sciamare della folla in curva sud, nell’inverno del millenovecentoeottantadue, pareva un carnevale di sciarpe, bandieroni e cappelli di lana col ponpon giallo e arancione.

E di rumore. Quello del vociare di migliaia di persone all’ingresso della chiesa, come il giorno della messa di un paese. Che poi Roma, una volta che le togli i suoi turisti, non è altro che un paese gigantesco in cui la parrocchia porta il nome “stadio olimpico” ed il prete è uno svedese, fa battute e lo chiamano “er barone”.

Funziona così, sempre, fino a maggio, ogni santa domenica romana: se magna presto a casa tutti insieme, si salutano le donne di gran fretta e si corre alla partita della Roma.

E se un tempo qualche volta si poteva pure fare sega per finire tutto il pasto, dall’arrivo in Italia di Falcao il caffè lo si prende dal bibitaro dello stadio e per dolce basta il sapore di scudetto. 

Quello che ogni anno sembra quasi di acchiappare. Quello che “se quer cornuto nun annullava er gol de Turone, adesso ce l’avevamo cucito sulla maija”. 

Ma ariva, dajie tempo e ariva uguale”, ripeteva sempre er sor Mario in gradinata, e teneva pure tutta la ragione anche se poi quegli altri disfattisti in sesta fila scuotevano la testa blaterando di arbitraggi, di agnelli e di rigori, con inciso sotto il naso un sorriso da chi crede di sapere.

Le storie romanesche vanno raccontate pure un po’ incupiti, sugli spalti dell’Olimpico mentre la Roma sta a giocare una partita, meglio ancora se noiosa da metà del campionato. Quando a Roma non c’è il sole e pure in campo ci sta poco da guardare. Ed allora viene voglia di parlare.

Che te pensi? Ce l’hanno rubata pure ad Avellino” sbraitava qualcuno che al Partenio c’era stato e spiegava che il gol di Juary era arrivato dopo un fallo non fischiato sul solito Turone e che i bari in maglia verde non avevano neppure aspettato che il libero si alzasse per puntare la porta con codarda decisione. E, come se non bastasse, il moretto si era messo perfino a sculettare come a prendere a pernacchie il Cupolone, il Colosseo e perfino il Quirinale.

Regà, a forza de parlà, semo ancora zero a zero e se semo magnati armeno due o tre reti” e un conto è bucare una trasferta, un altro fare meno dei due punti casalinghi messi in conto col Cesena fin da prima che iniziasse il campionato. “Che se oggi non se vince, pure stavorta ne parlamo quest’artranno”.

E poi questi del Cesena chi davero li conosce? E chi cacchio li ha mai sentiti nominare? 

Quello si chiama Genzano. Ed è de Roma” vien da dire ad uno che sta dietro di parecchio e che forse sarà amico di famiglia. 

Genzano, come il paese dei Castelli, manco fosse un nome d’arte o d’invenzione per un ruolo da maschera del calcio o da comparsa d’occasione. Genzano Antonio, nato a Roma e cresciuto su e giù in giro per l’Italia, tra Foggia e Novara, con parecchia Genova nel cuore. Momentaneamente romagnolo del Cesena. Centrocampista e calciatore. 

Che ce frega de Genzano?” grida un altro anche lui in piedi su un gradone. Piuttosto ci sarebbe da augurarsi che il barone abbia fatto una cazziata come si deve a Conti e Pruzzo, perché va bene bucare una trasferta, ma se non si batte all’Olimpico il Cesena, ci rimane proprio poco da sperare.

La Roma attacca forte, ma pare che il Cesena abbia parcheggiato il pullman davanti alla porta e il nuovo allenatore ha piazzato due o tre uomini su Conti. E su Pruzzo forse pure qualcuno in più.

Pressappoco alle quattro meno un quarto, dalla panchina della Roma s'alzan dritte due figure: ce n'è una in tuta da ginnastica con in mano un quadrato di cartone con la stampa dieci in nero. Che è come un fumetto dalla bocca di Nils Liedholm che sta a dire "esci, Scarnecchia!"

L'altro c'ha maglietta e calzoncini giallorossi, ma alla tribuna non pare un volto noto. 

Qualcuno in curva sud lo riconosce: "E' er fijolo de zi' Gildo, quello che c'aveva er bar ar Trieste".

Un esordiente con la maglia della Roma. Uno che per star bene da protagonista di sta storia romanesca non poteva ch'esser nato in un quartiere e imparato a Frattocchie nei Castelli, uno di quei romani veri cresciuti con la sciarpa giallorossa e che la Lazio la lasciano ai burini.

Uno che fa Peppe di nome. E di cognome me pare Giannini.

Giannini Giuseppe. Anni 17, calciatore. O armeno ce se prova.

E "se move bene sto regazzino", soltanto che pare che balla e non sarà un po' troppo delicato? 

Passato un quarto d'ora dalle quattro, quando la gente ingrugnita del pareggio inizia già a scappare dallo stadio per non restare imbottigliata sul raccordo, un altro pallone rimbalza fuori dall'area del Cesena e finisce verso la lunetta. 

Più vicino di chiunque, c'è Giannini che dovrebbe controllare e ricacciare dentro l’area. Sarà stato il controsole o magari la presenza di Falcao che ti mette la paura della palla, il ragazzino pare che s'addormenti e lascia sfilare. 

Altro ardore, il buon Genzano, si butta sul pallone e inizia a correre come se fosse la sua storia romanesca, una di quelle storie che finiscono con un gran finale. E così attraversa tutto il campo, chiede triangolo e finisce per segnare.

Finisce in quel momento pure la rincorsa giallorossa allo scudetto, mentre Peppe scompare tra i ragazzi in giovanile e, tra i fischi di chi dice “non è buono”, la finisce di giocare.  

Così suona la storia amara dell’esordio di Giannini. Una storia romanaccia che se conta cor sorriso di chi si siede tra le botti e non sta a dire che poi il principe ha regnato alla faccia dei cretini.

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