Winter: «Io, Gascoigne, Signori e il derby di Roma»

Winter: «Io, Gascoigne, Signori e il derby di Roma»

L’olandese è stato per quattro stagioni una stella biancoceleste
«Anni meravigliosi, in cui Cragnotti costruì una grande rosa
di campioni: ricordo la tensione contro la Roma e i gol di Beppe»

Paolo Colantoni/Edipress

07.11.2023 ( Aggiornata il 07.11.2023 13:01 )

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«La Lazio è nel mio cuore. Ho bellissimi ricordi della mia esperienza romana. Ho vissuto quattro anni nel cuore della città ed ho costruito un rapporto straordinario con i tifosi e con i miei compagni. Con molti di loro sono ancora in contatto». Aron Winter ha disputato quattro stagioni nella Capitale, togliendosi numerose soddisfazioni e lasciando il segno nella storia biancoceleste. Arrivò a Roma l’estate del 1992, acquistato dall’Ajax, club con il quale aveva appena vinto la Coppa Uefa, sconfiggendo il Torino nella doppia finale. Fu uno dei calciatori arrivati nella prima campagna acquisti firmata da Sergio Cragnotti. Il suo nome fu affiancato a quelli di Giuseppe Signori, Diego Fuser, Roberto Cravero e Paul Gascoigne. «C’era la sensazione che la Lazio stesse crescendo e che fosse destinata a lasciare il segno. Il presidente Cragnotti ha costruito passo dopo passo una squadra fortissima, con acquisti sempre più importanti. Nei quattro anni in cui sono stato alla Lazio, ci miglioravamo anno dopo anno».

L’inizio però non fu particolarmente piacevole.
«Ci furono delle scritte in città. Dei messaggi legati al razzismo. Ma io fin da subito non me ne sono preoccupato. Ho sempre pensato che avrei risposto con i miei piedi, con le prestazioni sul campo. E così è stato. E nei quattro anni che sono stato a Roma non ho mai avuto nessun problema. Anzi, con i tifosi, con la stampa, con i compagni, si è creato un rapporto bellissimo. Lo dico oggi, a distanza di anni e con un pizzico di orgoglio: sono sempre stato a fine stagione uno dei migliori centrocampisti del campionato. E non era facile in quegli anni».

Per la concorrenza?
«Negli anni novanta in Serie A c’erano i migliori calciatori del mondo. Erano tutti qui: affermarsi in Italia voleva dire essere davvero un grande giocatore. E per uno straniero era ancora più difficile perché, soprattutto nei primi anni, c’era un regolamento che non aiutava. Le società potevano tesserare tutti i calciatori stranieri che volevano, ma poi in campo ne andavano solo tre».

Nella Lazio insieme a lei c’erano, almeno il primo anno, Gascoigne, Doll e Riedle...
«Ma alla fine io ero sempre in campo. Nonostante nei pronostici iniziali il mio nome difficilmente veniva inserito. Quando sono arrivato a Roma ero ancora giovane, ma avevo già maturato una buona esperienza. Ma era un calcio diverso. Oggi tutti conoscono tutti: è più facile trovare un giocatore da un altro campionato. Allora dovevi essere scovato, segnalato e poi non potevi sbagliare. Ripeto, sono stati quattro anni davvero belli. E pensandoci bene, l’esperienza alla Lazio è stata probabilmente la più formativa per permettermi di diventare oggi un allenatore».

Cragnotti la scelse l’estate del 1992, insieme a Signori, Fuser, Cravero...
«Ogni anno la squadra si rafforzava: la stagione successiva arrivarono Marchegiani e Boksic, poi Casiraghi, Di Matteo. Era una crescita costante».

Il primo anno la Lazio torna in Europa dopo una lunga attesa.
«Erano sedici anni che il club non giocava nelle coppe europee. Ricordo la grande attesa e quel Lazio-Napoli, con lo stadio pieno e l’entusiasmo. Anche se, pensandoci bene, l’Olimpico era sempre pieno. C’era una grande passione. Io cercavo di giocare tutte le gare al massimo, ma ce n’era una che per i tifosi era fondamentale e te lo ricordavano sempre. Il derby».

Il primo che giocò fu quello del pareggio di Gascoigne nel finale.
«Partiamo dall’inizio: arrivo a Roma e la prima cosa che mi viene detta è la data del derby. Dovevi saperlo. Non potevi non essere pronto. In città non si parlava d’altro e la settimana prima e quella dopo erano molto intense. Fortunatamente io ne ho perso solo uno, perché quando succede, vivere a Roma diventa quasi impossibile. Quello di Gascoigne lo ricordo molto bene: pareggiammo alla fine».

La stagione successiva, la Lazio vince il derby 1-0: assist di Winter e gol di Beppe Signori, nella nebbia.
«Ma io ho visto bene tutta l’azione (ride, ndr). A parte le battute, i derby mi piacevano. La tensione, lo stadio pieno, l’attesa: a me piaceva quando c’erano gare così intense».

Quella stracittadina fu decisa da Signori.
«Un giocatore eccezionale. Fortissimo. In grado di segnare sempre e in ogni modo. Aveva un piede sinistro meraviglioso. Era il nostro capitano e il giocatore più forte. Mi è dispiaciuto leggere che ha avuto dei problemi dopo la fine della sua carriera. Ma è stato davvero fortissimo per quella squadra».

Lei ha giocato anche con Paul Gascoigne.
«Una persona, un uomo e un giocatore eccezionale. Sapeva fare gruppo, tenere tutti in allegria. Ed in campo quando stava bene era imprendibile. E poi era un vulcano di idee, di scherzi».

Ne ha fatti anche a lei?
«Certo, li ha fatti a tutti».

Ce ne ricorda uno?
«Preferisco ricordarne uno che non ha fatto direttamente a me, ma che mi ha fatto morire dal ridere. Nelle nostre trasferte andavamo spesso in pullman. Noi eravamo sempre nei posti indietro, mentre mister Zoff stava in prima fila e non aveva mai nessuno accanto a lui. Una volta durante un percorso pieno di gallerie, Zoff si addormentò. Gazza approfittò di una galleria molto lunga per lasciare il suo posto e sedersi al suo fianco. Ma quando uscimmo dal tunnel, lui era completamente nudo. Le nostre risate svegliarono Zoff, che se lo ritrovò così davanti: per poco non gli prese un colpo».

Con la Lazio segnò tanti gol: ne ricorda uno?
«Probabilmente farò arrabbiare qualcuno, ma sicuramente il mio gol più bello l’ho segnato con la maglia dell’Inter proprio contro la Lazio. Con una botta incredibile sotto l’incrocio. Ma con la maglia biancoceleste ne ho messi a segno diversi. Ricordo proprio quello con il Napoli nella gara che ci riportò in Europa, uno ad Ancona sotto la neve. Diciamo che ero uno dei primi centrocampisti che amava inserirsi in attacco con continuità. Ed è il motivo per il quale ho segnato tanto».

Alla Lazio ha avuto Zoff e Zeman come tecnici.
«Mister Zoff era un grande. Un mito del calcio. Una persona di grandi valori. Con lui ho avuto un ottimo rapporto».

E Zeman?
«Un innovatore. Un tecnico che giocava un calcio diverso. L’unica cosa che cambierei erano i ritiri precampionato: ti faceva correre come un pazzo. Provavi e riprovavi gli schemi, le cose che voleva che si facessero in campo. In quegli anni noi partivamo sempre bene, i primi quattro mesi volavamo, poi calavamo a dicembre, per poi tornare a correre a fine stagione. Ma il suo calcio era davvero divertente».

Perché lasciò la Lazio l’estate del 1996?
«Io non volevo andare via e la Lazio non voleva cedermi. Ma io volevo vincere: sentivo che la Lazio stava crescendo, ma che forse ancora non era pronta per essere subito competitiva. Ci vollero ancora due o tre stagioni per farle spiccare il volo in modo definitivo. Quando mi arrivò l’offerta dell’Inter pensai che fosse una squadra più pronta. Vincemmo la Coppa Uefa, battendo proprio la Lazio in finale, poi lottammo fino all’ultimo per lo scudetto, nell’anno del famoso Juventus-Inter di Ronaldo. Alla fine anche la Lazio si è attrezzata, ma in quel momento lasciare Roma mi sembrò la scelta giusta».

Rimpianti?
«Non ho rimpianti. A Roma sono stato benissimo e credo di aver lasciato un bel ricordo. E dentro di me cullo un piccolo sogno. Mi piacerebbe tornare e allenare la Lazio in futuro. Oggi sono il ct del Suriname, ma in futuro non si può mai sapere. E sarebbe una bella chiusura del cerchio».

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