Berlusconi, l’amante del bel giuoco: quanti Palloni d’Oro al Milan!

Berlusconi, l’amante del bel giuoco: quanti Palloni d’Oro al Milan!

Da Gullit e Van Basten fino a Weah, Shevchenko e Kaká: ecco i calciatori rossoneri che hanno vinto l’ambito premio di France Football sotto l’egida del Presidentissimo

Simone Pieretti/Edipress

14.06.2023 ( Aggiornata il 14.06.2023 13:51 )

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Un amante irriducibile del bel giuoco, un esteta del calcio, un collezionista di campioni. Silvio Berlusconi è stato tra i presidenti più vincenti della storia, un dirigente geniale e visionario. Con lui il Milan ha avuto il privilegio e l’onore di schierare per diverse stagioni il Pallone d’Oro designato da France Football. Prima del suo avvento, soltanto due giocatori leggendari come Gianni Rivera e Paolo Rossi avevano avuto modo di ricevere il premio internazionale.  Successivamente il cambio fu radicale, e la cadenza divenne quasi annuale. 

Gullit, il primo Pallone d’Oro dell’era Berlusconi

Il primo Pallone d’Oro dell’era Berlusconi fu Ruud Gullit, olandese scovato nel Psv Eindhoven; aveva le treccine rasta e una grande tecnica, una potenza fisica impressionante e il numero dieci sulle spalle. Prese per mano il primo Milan di Berlusconi e lo condusse al successo; uno scudetto vinto a Napoli, contro Maradona, strappando l’applauso degli ottantamila del San Paolo. 

L’epopea di Marco van Basten

L’anno successivo il premio rimase a Milanello: questa volta, a essere insignito del titolo di calciatore più forte del mondo fu Marco van Basten. Il club rossonero lo aveva acquistato dall’Ajax soffiandolo alla Fiorentina di Pontello. Nella prima stagione in rossonero rimase a lungo in infermeria, giocando una manciata di partite. Ma nell’anno di grazia 1988, il centravanti olandese si prese la scena: la vittoria della Coppa dei Campioni lo mise al pari di Gullit, il successo ottenuto con l’Olanda agli Europei fece da spartiacque; una tripletta realizzata contro l’Inghilterra e una rete stellare contro l’URSS del colonnello Lobanovskyi lo spinsero sul gradino più alto del podio. È un gol che resta nella memoria, su un palcoscenico internazionale e contro un portiere - Dasayev - ritenuto in quel momento tra i più forti in assoluto. Lungo cross dalla sinistra di Mühren, tiro al volo di destro e palla all’incrocio dei pali. Una parabola mirabolante, un gol geniale - da sognatore-visionario - proprio come il suo presidente. L’anno dopo - 1989 - il Pallone d’Oro resta nella bacheca di casa Van Basten: il Milan vince ancora la Coppa dei Campioni, il centravanti ruba il cuore dei milanisti e mette Berlusconi di fronte a un bivio: “O me, o Sacchi”. E il presidente sceglie il suo prediletto. Marco van Basten è un attaccante che nasce una volta ogni mezzo secolo; è agile, tecnico, rapido, e soprattutto segna in tutti i modi: calcia indistintamente con entrambi i piedi, è dominante nel gioco aereo, ed è straordinario in acrobazia. Non è un caso che nel 1992 l’editore di France Football torni a bussare alla sua porta: “Dovremmo consegnarle un altro Pallone d’Oro”.

Weah e Shevchenko, il Pallone d’Oro torna a Milanello

Il Cigno di Utrecht esce di scena per un infortunio alla caviglia, ma il Milan ha già il sostituto pronto: si chiama George Weah, viene dalla Liberia e diventerà il primo calciatore africano a vincere il Pallone d’Oro. È già passato da Parigi dove il calcio viene visto con un certo scetticismo, da quelle parti ci sono passati pochi campioni tra cui il Principe uruguagio Enzo Francescoli. George Weah è diametralmente opposto a Marco van Basten, ma ugualmente decisivo; ha il passo felpato di un felino, lo scatto bruciante di una pantera e una potenza fisica fuori dal comune. È un attaccante che lascia il segno, ha un’intelligenza unica. Appesi gli scarpini al chiodo, è entrato in politica: oggi è il Presidente della Liberia. Quando l’attaccante africano va in Premier League, a Milanello arriva un giovane ucraino: si chiama Andriy Shevchenko, anche lui finirà nell’elenco dei vincitori del Pallone d’Oro. È cresciuto nella Dinamo Kiev all’ombra del colonnello Lobanovski, sembra un giocatore arrivato direttamente dal futuro. Sheva segna, il Milan sogna, e nella notte di Manchester torna a vincere la Champions League contro la Juventus; l’ultimo rigore della serie lo calcia lui: è un sorso di vodka glaciale che solca le pareti dell’anima. 

Kaká e “gli altri” Palloni d’Oro del Milan

Quando Shevchenko firma per il club londinese, il successivo candidato al titolo c’è già; si chiama Ricardo Izecson dos Santos Leite, per i tifosi rossoneri è semplicemente Kaká. Di mestiere non fa il centravanti, è un centrocampista che parte da lontano, ma quando entra in area avversaria consegna una tempesta a domicilio; è rapido, veloce, intuitivo. Si inserisce sempre al momento giusto, spacca le difese, sa essere assistman, talvolta si mette in proprio e tira dritto fino alla meta. È lui che orchestra le giocate offensive del Milan di Ancelotti, è lui che lancia Pippo Inzaghi verso la gloria nel gol del raddoppio contro il Liverpool che vale un’altra Champions League. Palloni d’Oro autoctoni e Palloni d’Oro acquisiti; nell’era Berlusconi il Presidentissimo rossonero ha portato a Milanello anche altri calciatori che avevano già vinto l’ambito premio. È il caso di Jean-Pierre Papin, goleador francese acquistato dall’Olympique Marsiglia, oppure di Roberto Baggio, il più grande talento italiano dell’ultimo mezzo secolo. E poi Ronaldinho, meraviglioso fuoriclasse brasiliano, e non ultimi Rivaldo e Ronaldo, arrivati verso il tramonto della loro carriera, ma capaci di regalare meravigliosi ricordi ai tifosi milanisti.

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