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La parabola dell’Amburgo: da Happel alla Zweite Liga

La parabola dell’Amburgo: da Happel alla Zweite Liga

Il trionfo in Coppa dei Campioni nel 1983, le lezioni del tecnico austriaco, i gol di Hrubesch e Magath, fino alla prima retrocessione dopo 55 anni di Bundesliga in un clima di contestazione, tra fumogeni e poliziotti a cavallo

Stefano Chioffi

16.05.2018 18:09

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La polizia a cavallo, i fumogeni lanciati dagli ultrà sul prato, gli agenti con il casco e i manganelli: l’ultima fotografia dell’Amburgo in Bundesliga è in quella nuvola nera che ha costretto l’arbitro Brych a sospendere per un quarto d’ora la partita con il Borussia Mönchengaldbach. Vittoria inutile, senza valore, in un clima di contestazione e di inciviltà: un 2-1 per gli almanacchi, ma che non è servito alla società (la più antica in Germania) per agganciare il terz’ultimo posto e qualificarsi al play-out. L’Amburgo è retrocesso nella Zweite Liga per la prima volta nella sua storia dopo 54 anni, 262 giorni e 15 minuti, come ha scandito nel tempo il famoso orologio all’interno del Volksparkstadion. Era l’unico club tedesco ad aver partecipato a tutte le 55 edizioni della Bundesliga, nata nel 1963. Non era mai sceso di categoria. E neppure l’infinito balletto in panchina, il cambio dei tre allenatori (da Markus Gisdol a Bernd Hollerbach e a Christian Titz), ha cambiato la corrente di una stagione tormentata. Tensioni, polemiche, minacce. Il 12 marzo, dopo la sconfitta per 6-0 con il Bayern Monaco, i giocatori avevano trovato nel centro sportivo undici croci sul campo: un macabro blitz degli ultrà che aveva spinto la polizia ad aprire un’indagine. 

L’OROLOGIO - Una retrocessione che l’Amburgo era riuscito, invece, a evitare ai play-out nel 2014 (contro il Greuther Fürth) e nel 2015 (contro il Karlsruhe). E il leggendario orologio del Volksparkstadion? Da sabato sera conta gli anni, i giorni e i minuti dalla fondazione dell’Amburgo, avvenuta nel 1887. Una scelta romantica in attesa di creare le basi per il campionato del riscatto. Al play-out, alla fine, è andato il Wolfsburg, pronto adesso ad affrontare l’Holstein Kiel, che è arrivato terzo nella Zweite Liga e insegue la promozione, già centrata nei giorni scorsi dal Norimberga e dal Fortuna Düsseldorf. L’Amburgo sarà rivoluzionato. Da valutare il futuro di  Christian Titz, il tecnico promosso alla metà di marzo dalla squadra Under 21. Tredici punti nelle ultime otto giornate per sperare nella conferma. Divorzio già avvenuto, invece, con l’amministratore delegato Heribert Bruchhagen e il direttore sportivo Jens Todt, sostituito da Thomas Van Heesen, uno degli ex giocatori più apprezzati, 97 gol in 336 gare da centrocampista di fascia sinistra.

IL MAGO HAPPEL - Sei titoli, il primo nel 1923 con Rudolf Agte in panchina e l’ultimo nel 1983 con l’allenatore austriaco Ernst Happel, soprannominato "der Zauberer", il mago. Tre Coppe di Germania, una Coppa delle Coppe, un asso (l’inglese Kevin Keegan) premiato due volte con il Pallone d’oro (nel 1978 e nel 1979), un centravanti da record come Uwe Seeler (404 reti in 476 gare tra il 1953 e il 1972), ma soprattutto una Coppa dei Campioni, vinta nel 1983 contro la Juve nella finale di Atene: 1-0, gol di Felix Magath. Una formazione che i tifosi dell’Amburgo recitano ancora a memoria come una poesia: Stein porta, Kaltz e Wehmeyer sulle fasce, lo stopper era Jakobs, nel ruolo di libero giocava Hieronymus. A centrocampo si muovevano Groh, Rolff e Bastrup. Magath era la mezzala, partiva spesso dalla fascia sinistra. Il centravanti era Hrubesch, campione d’Europa nel 1980 in Italia con la Germania Ovest del ct Jupp Derwall, ma anche di Harald Schumacher, Uli Stielike, Bernd Schuster, Hansi Müller e Klaus Allofs. Accanto a Hrubesch, il tecnico Happel schierava quasi sempre Milewski. 

LA TRADIZIONE - Un Amburgo che faceva sognare. E che rimane uno dei tre club tedeschi ad aver alzato la Coppa dei Campioni/Champions: cinque trofei per il Bayern, uno per il Borussia Dortmund e uno per l’Amburgo. L’allenatore più amato rimane Happel, che aveva già firmato nel 1970 il doppio trionfo del Feyenoord in Coppa dei Campioni (contro il Celtic) e in Coppa Intercontinentale (contro l’Estudiantes del papà di Veron). Era la squadra di Willem Van Hanegem, regista dai colpi sublimi, con l’adrenalina di un mediano e un piede sinistro maestoso: era lui, con le sue geometrie e i suoi deliziosi calci di punizione, a fare la differenza nel Feyenoord di Happel.

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