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La rivoluzione del Lanus

La rivoluzione del Lanus

Viaggio tra i segreti del club argentino, che dopo 102 anni di storia si prepara a giocare contro il Gremio la sua prima finale di Coppa Libertadores.

Stefano Chioffi

12.11.2017 21:05

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All’inizio sembrava solo una dolce utopia, ma il percorso suggestivo e rivoluzionario del Lanus, che si prepara a giocare la sua prima finale di Coppa Libertadores, è diventato in Argentina il manifesto di un calcio ragionato e proletario, senza sfarzi, l’altra faccia della nobiltà antica di River Plate e Boca Juniors. E’ il segnale di una svolta culturale e tecnica che abbraccia anche realtà nuove ed emergenti, è la spia di un processo di cambiamento che riduce le distanze e può spezzare la calma piatta della tradizione. Dal 2000 sono stati già sei i club che hanno vinto la Champions del Sudamerica per la prima volta: Once Caldas (Colombia), Internacional (Brasile), Liga Deportiva Universitaria di Quito (Ecuador), Corinthians (Brasile), Atletico Mineiro (Brasile) e San Lorenzo de Almagro (Argentina), la squadra del cuore di Papa Francesco, che in Vaticano ha ricevuto in regalo dai dirigenti la tessera di socio numero 88.235.

Racchiude un doppio significato la favola del Lanus. Non ha un valore solo sportivo, nonostante quei 102 anni di storia vissuti anche in Terza Divisione. L’appuntamento con il Gremio - la partita d’andata è in programma a Porto Alegre nella notte tra il 22 e il 23 novembre - esprime soprattutto il riscatto sociale di questa città che un sobborgo, una periferia di Buenos Aires: zona povera, disagiata, dove si fatica a trovare lavoro e la quotidianità è fatta di salite e rinunce. Un piccolo ombelico del Sudamerica, amato però da tutti gli appassionati di pallone, perché a Lanus - il 30 ottobre del 1960, in un reparto del Policlinico Evita - è nato Diego Armando Maradona, che più avanti avrebbe cominciato a costruire la sua carriera da fenomeno al numero civico 523 dell’Avenida Azamor, nella sua casa di Villa Fiorito, e nella squadra di quartiere rimasta nella memoria con il nome di “Los Cebollitas”, in grado all’inizio degli Anni Settanta di dominare i campionati giovanili conservando l’imbattibilità per 136 partite consecutive. Diego, all’epoca, non era ancora soprannominato “El Diez” e neppure “el Pibe de Oro”, ma era chiamato “el Pelusa” dai suoi compagni per i suoi capelli folti e ricci.

A Lanus, adesso, nel barrio “Remedios de Escalada”, si trova la sede della Fondazione Pupi, creata nel 2001 dall’ex terzino interista Javier Zanetti e da sua moglie Paula con l’obiettivo di operare per la tutela dei diritti e dell’assistenza dei bambini e degli adolescenti. La favola del Club Atletico Lanus, per la gente del posto più semplicemente “El Granate”, ha rovesciato ogni pronostico in Coppa Libertadores, conquistata per ventiquattro volte da otto squadre argentine: record che appartiene all’Independiente di Avellaneda con sette trionfi.

Una stagione che si sta rivelando una formidabile combinazione - quasi chimica - di personaggi e fattori tecnici. Dalla gestione magistrale di un presidente (Nicolas Russo, classe 1959, eletto nel 2009 con l’88% dei voti, un “hombre del barrio” Villa Obrera come si definisce nel suo sito ufficiale) che non sbaglia mai un conto alle intuizioni vincenti di un allenatore (Jorge Almiron, 46 anni, ex mezzala con una carriera svolta quasi tutta in Messico) che si è trasformato in un messia con il suo 4-3-3. Dall’affetto del popolo del “Nestor Diaz Perez” (47.000 posti), ribattezzato “La Fortaleza”, alle magie di un centravanti - José Sand - che non finisce di stupire neppure a un passo dalla pensione, con i suoi trentasette anni, i suoi tre titoli di capocannoniere e le sue quindici maglie di club indossate. E’ lui l’ambasciatore di questo Lanus: ha firmato gli unici due titoli festeggiati dal “Granate” nel 2007 e nel 2016. Ed è stato proprio José Sand, sette gol in dodici partite in questa Coppa Libertadores, a togliersi lo sfizio di eliminare in semifinale il River Plate, realizzando una doppietta nella gara di ritorno vinta per 4-2. Una soddisfazione anche personale, perché i “Millonarios" in passato lo avevano scoperto e bocciato. E non è un caso che nella sfida decisiva il centravanti sia sceso in campo con le scarpe gialloblù (i colori del Boca Juniors) per rendere ancora più bollente il clima davanti ai tifosi del River.

Pressing, ritmo, organizzazione, 4-3-3, nove argentini nel blocco dei titolari, una rosa che vale - secondo gli esperti di mercato - meno di quaranta milioni di euro. Schemi e semplicità, ecco la formula di Jorge Almiron: Esteban Andrada (classe 1991) in porta, José Luis Gomez (1993) nel ruolo di terzino destro, il paraguaiano Rolando Garcia (1990) al centro della difesa accanto a Diego Braghieri (1987), Maximiliano Velazquez (1980) sulla fascia sinistra. Roman Martinez (1983) e Nicolas Pasquini (1991) si muovono vicino al regista-mediano Ivan Marcone (1988). I due esterni, in attacco, sono l’uruguaiano Alejandro Silva (1989) e Lautaro Acosta (1988): anche loro a segno, come José Sand, nella semifinale di ritorno contro il River Plate. C’è poi, in panchina, una carta in più da giocare quando le partite non prendono la piega giusta: German Denis, trentasei anni, “el tanque”, nove stagioni in Italia con il Cesena, il Napoli, l’Udinese e l’Atalanta. L’appuntamento con il Gremio si avvicina, le emozioni non sono finite.

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