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Il nuovo vecchio Ancelotti© Getty Images

Il nuovo vecchio Ancelotti

L'allenatore italiano degli ultimi trent'anni, la necessità dei playoff e i controlli del governo. 

Stefano Olivari

07.05.2024 ( Aggiornata il 07.05.2024 16:07 )

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Carlo Ancelotti preferisce la coppa, lo ha anche scritto o fatto scrivere. Ed infatti in proporzione alla forza delle squadre allenate ha vinto meno nei campionati nazionali che in Europa: la Liga appena conquistata con il Real Madrid è la sua seconda, dopo una Premier League vinta con il Chelsea, una Bundesliga vinta con il Bayern, una Ligue 1 con il PSG ed un solo scudetto con il Milan. Per molti aspetti l’ultimo titolo è il più bello, perché ad un certo punto si è dovuto reinventare una difesa senza Courtois (rientrato proprio sabato scorso con il Cadice), Militao e Alaba, cambiando posizione a Tchouameni e Camavinga, un attacco per il dopo Benzema, semplicemente non rimpiazzandolo ma dando maggiore libertà offensiva a Bellingham, un centrocampo per gestire il troppo lungo addio di Modric. Detto che stiamo parlando della squadra con il secondo monte ingaggi del mondo, dietro al PSG, in procinto di diventare la prima con Mbappé, e che Nicola e Baroni stanno compiendo imprese di altro spessore, troviamo incredibile la capacità di Ancelotti di rimanere al passo con i tempi e connesso con giocatori che per età potrebbero essere suoi nipoti. Nella storia del calcio pochi hanno allenato per trent’anni ai massimi livelli e nessuno al trentesimo anno è sembrato migliore di quanto fosse ‘prima’. 

L’ennesimo campionato di Serie A chiuso troppo presto, per quanto riguarda il discorso scudetto, con la paradossale aggravante dell’overdose di posti in Europa, ha riportato d’attualità l’idea dei playoff, che in realtà non è nostra ma dei quattro club (Inter, Milan, Juventus e Roma) che vorrebbero il ritorno alle 18 squadre. Per ora sono sotto scacco della pancia del paese, cioè della Lega di A, domani chissà. Ma la vera bellezza dei playoff sarebbe assicurare regolarità a tutti i verdetti sportivi, evitando di legarli a partite di squadre motivate contro squadre in vacanza e dedite alla creazione di crediti per il futuro (o di pagamento di debiti del passato).

Alla gente, non soltanto ai tifosi, importa zero se il controllo dei bilanci dei club di calcio (e di basket) sarà dell’agenzia governativa vagheggiata da Abodi o rimarrà alla Covisoc. Ma al di là dei discorsi sull’autonomia dello sport e sulle possibili sanzioni FIFA, più teorici che reali, e dei rapporti di potere, sfugge la logica di una mossa che renderebbe i grandi club, ma anche quelli medi, perché si vota dappertutto, più impuniti di quanto siano adesso. Quale politico metterebbe la faccia sull'esclusione dal campionato di una squadra con milioni di tifosi? La vituperata Covisoc qualche cosa ha fatto.

stefano@indiscreto.net

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