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La scelta di Menotti© Getty Images

La scelta di Menotti

Addio all'allenatore dell'Argentina campione del mondo nel 1978, politicamente lontano da quel regime ma nei fatti suo strumento di propaganda...

Stefano Olivari

06.05.2024 ( Aggiornata il 06.05.2024 12:02 )

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Con Cesar Luis Menotti se ne va una delle icone del calcio degli anni Settanta, anche se la sua carriera ha avuto un prima, come discreto calciatore, ed un dopo, sempre con il bonus dell’essere stato l’allenatore dell’Argentina campione del mondo 1978 e dell’essere considerato una bandiera a livello ideologico: il menottismo contro il bilardismo, antenato di giochismo versus resultadismo. Una narrazione postuma, va detto, perché in realtà Menotti dava grandissima importanza alla preparazione fisica e la sua Argentina anche sotto questo aspetto fu davvero la migliore squadra del pianeta. Soltanto lo storytelling, unito alla cultura e al fascino dell'uomo Menotti, ha fatto dimenticare che lui nei suoi giorni migliori era un allenatore molto rigido, sia pure tatticamente diverso da Bilardo.

Della storia di Menotti ci ha sempre colpito il suo successo fulmineo, visto che aveva soltanto 35 anni e mezzo quando dopo il Mondiale 1974 fu scelto come allenatore di un’Argentina che era stata ricostruita da Omar Sivori, che si era anche conquistato la qualificazione (leggendaria e reale la Seleccion Fantasma usata per battere la Bolivia), ma che in Germania era stata guidata da Vladislao Cap. Menotti era l’emergente del calcio argentino e con l’Huracan aveva l’anno prima vinto il campionato, anzi una delle sue due incarnazioni dell’epoca, il Metropolitano (peraltro unico campionato vinto dall’Huracan nell’era del professionismo, quindi dal 1931), cercando di andare oltre la tradizione, la garra e tutti i luoghi comuni che comunque erano fondati e che secondo lui, ex trequartista, limitavano le enormi potenzialità del calcio argentino. Un calcio che produceva fuoriclasse ma non nazionali in grado di arrivare in cima al mondo. Scelto dall’allora presidente dell’AFA, David Bracuto (a capo anche dell’Huracan, altra spiegazione della carriera fulminea), Menotti salì al potere, se così si può dire, quasi in contemporanea con la morte di Peron e con l’inizio di un periodo difficilissimo per l’Argentina, che nel marzo di due anni dopo, a Mondiale già assegnato dalla FIFA, avrebbe portato al golpe militare.

Un milione di volte ha risposto alla domanda su come lui, comunista dichiarato, potesse accettare di essere il volto del regime, e la (sua) versione media è che sapeva bene di vivere in una dittatura ma non aveva idea delle uccisioni di massa, dai voli della morte a tutto il resto. Insomma, si rendeva conto del fatto che la libertà di espressione fosse impedita ma non poteva sapere dei crimini programmati ed eseguiti ad ogni livello. Comunque lui nel 1976, quando il nuovo corso politico impose un cambio alla presidenza federale, presentò le dimissioni ma il nuovo numero uno dell’AFA, Cantilo, lo convinse a rimanere: pur essendo politicamente all’opposto, riteneva i progetti di Menotti i migliori possibili per il calcio argentino. Quanto a Menotti, la grande visibilità era la sua temporanea assicurazione sulla vita. E le sue idee calcistiche non erano poi troppo diverse da quelle dei militari: disciplina, preparazione atletica, toni bassi nelle interviste, il divieto per i nazionali di giocare all'estero (eccezione soltanto per Mario Kempes al Valencia) e la scarsa considerazione per chi già ci giocava (su tutti Carlos Bianchi, ben più forte di Luque). Fra l’altro, da destra, Cantilo era critico verso i vari Massera, Lacoste e Videla, e promise di ritirarsi a Mondiale finito per non dover più tollerare militari al campo di allenamento, pressioni per la convocazioni (la più famosa, e folle, Beto Alonso, che fu una delle cause del mancato inserimento di Maradona nei 22 per il Mondiale del 1978).

E a coppa vinta le dimissioni le diede, diversamente da Menotti, che rimase conquistato da Grondona, successore di Cantilo, al punto di rinunciare alle offerte del Barcellona. Con l’Argentina andò avanti fino al 1982 e al Sarrià. Poi avrebbe fatto tante altre cose, chiudendo la carriera da direttore delle squadre nazionali argentine, dal 2019 all’anno scorso, e quindi il Mondiale di Messi e Scaloni è anche un po’ suo. Ma per una generazione ben precisa IL Mondiale è stato quello del 1978, prima della cui finale Menotti disse ai giocatori che loro non dovevano vincere per i militari, ma per la gente. In ogni caso la fine dell’innocenza, anche se un quarantenne era senz’altro più informato di un bambino. E anche di Jorge Carrascosa, capitano dell'Albiceleste oltre che uomo di Menotti, che poco prima del Mondiale lascio là nazionale senza fare proclami, soltanto per non essere complice di quella strumentalizzazione. Assurdo chiedere di fare gli eroi, stando su un comodo divano italiano, ma assurdo anche celebrare come tali uomini come tanti, che hanno cercato di sopravvivere. 

stefano@indiscreto.net

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