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I playoff per l'Inter© Getty Images

I playoff per l'Inter

Le troppe certezze dei primi, l'operazione Calzona, il modello Sassuolo, la Salernitana retrocessa e la vacanza di Pasqua.

Stefano Olivari

26.02.2024 ( Aggiornata il 26.02.2024 10:31 )

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Con l’Inter sempre più lanciata verso lo scudetto, a ritmi simili, anzi di poco superiori, a quelli del Napoli dell’anno scorso, si sperava che almeno la lotta Champions, ravvivata dal ranking UEFA che permette di considerare un trionfo anche il quinto posto, potesse tenere viva l’attenzione in quest’ultimo terzo di campionato. E invece se la Roma non batterà il Torino stasera si può dire che Bologna e Atalanta dovrebbero suicidarsi per perdere questo treno. Siccome arrivare secondi o terzi fa poca differenza, non sarebbe campato per aria un serio dibattito sull’utilità dei playoff, magari con un campionato a 18 squadre. Dando per scontato che il tema sia rifiutato dai tifosi della squadra che in quel dato anno sta vincendo lo scudetto, è sempre stato strano che l’argomento sia considerato un tabù anche dagli altri. Se non se ne parla in una stagione con grandi distanze fra i livelli non si vede quando se ne dovrebbe parlare. Anche se il vero spot a favore dei playoff (e dei playout) non sono le stagioni scontate ma quelle tiratissime, decise da chi si impegna una volta sì e una no. Se ne parlerà oggi in Lega? Dicono di sì, non abbiamo tirato fuori il tema a caso. Ma non crediamo possa cambiare qualcosa in tempi brevi.

L’operazione Calzona è stata così improvvisa, per non dire improvvisata, che in pochi si sono chiesti che senso abbia. Tecnico di esperienza per salvare un Napoli in crisi proprio no, visto che a 56 anni in carriera nei club ha fatto sempre e soltanto il vice, sia pure di allenatori bravi e che hanno fatto bene a Napoli come Sarri e Spalletti. Come ingaggiare Narciso Pezzotti e vendere ai media e alla gente che in fondo è un po’ come prendere Lippi. Poi magari Calzona vincerà la Champions alla Di Matteo e De Laurentiis tornerà genio dopo un anno di pausa, ma nel presente sembra il gestore di una squadra con molti giocatori ridimensionati e le stelle scontente (Kvaratskhelia) o sicure partenti (Osimhen, Zielinski). Più che Sarri (al di là delle voci sul terreno che gli starebbe preparando) o Spalletti è sembrato Mazzarri, quando a Cagliari se l’è presa con il vento.

L’esonero di Dionisi dalla guida del Sassuolo ufficializza l’ovvio, cioè che il tranquillo centro-classifica a cui il club della famiglia Squinzi ci ha abituato potrebbe davvero trasformarsi in una retrocessione e che ci sarebbe anche poco da sorprendersi, perché a questo giro la rosa era davvero da retrocessione, nel senso che non aveva e non ha niente di superiore al Cagliari o al Verona. Poi magari si salverà come fece dieci anni fa, stagione 2013-14, alla sua prima esperienza in Serie A, con in panchina Di Francesco esonerato e poi richiamato al posto di Malesani, ed in campo un Berardi diciannovenne ma già decisivo, o quattro stagioni più tardi con Iachini al posto di Bucchi. I paragoni finiscono qui, perché quella era una matricola che attirava simpatia e piena di giocatori futuribili, con un grande imprenditore come Giorgio Squinzi che aveva progetti ambiziosi, mentre il Sassuolo dalla morte di Squinzi (nel 2019) in poi è stato una squadra esistita solo in ottica calciomercato, in calcese player trading, con il terzultimo pubblico della Serie A (peggio soltanto Empoli e Monza). Una realtà che non si è attirata simpatie fra gli addetti ai lavori, se non da parte dei direttori sportivi amici, visto il rendimento altalenante da metà stagione in avanti.

Rimanendo in zona retrocessione, si può dire che l’Empoli sia stato più veloce della Salernitana nell’ingaggiare Davide Nicola ed i risultati si vedono. Anche questa volta, come due anni fa, Sabatini ha aspettato qualche giornata di troppo per fare ciò che aveva nel cuore fin da subito, cioè cambiare allenatore (ai tempi era Colantuono, poi sostituito da Nicola) ma va detto, pensando a Liverani e prima ancora a Pippo Inzaghi, che il mercato di gennaio ha forse addirittura indebolito una squadra che ha una delle proprietà più solide della A ed anche un pubblico significativo. Un anno di Serie B magari sarà utile, a patto che rimanga Iervolino, in ogni caso è ormai sicuro.

I nuovi calendari di anticipi e posticipi hanno evidenziato una curiosità, cioè che la trentesima giornata di Serie A si giocherà divisa fra il sabato prima di Pasqua ed il lunedì subito dopo, evitando la domenica di Pasqua. Nessuno sa realmente il perché dal 1978, si parlava quindi di un torneo a 16 squadre e quindi due mesi in mendo di partite, non si giochi più la domenica di Pasqua, a parte un paio di eccezioni (Perugia-Inter del 2004 e Reggina-Udinese del 2009), visto che nei decenni precedenti il giorno di Pasqua si era sempre giocato tranquillamente e non è che nel frattempo gli italiani siano diventati più religiosi, anzi. Inspiegabile anche la divisione fra sabato e lunedì. Senza dietrologie, classico caso in cui si fa così perché si fa così, senza chiedersi il perché.

stefano@indiscreto.net

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