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Come allenava Mazzone© LaPresse

Come allenava Mazzone

La morte di un personaggio popolarissimo ha colpito tutti gli appassionati di calcio, rendendo impossibile separare l'allenatore dello stereotipo. Come quando era in vita...

Stefano Olivari

20.08.2023 ( Aggiornata il 20.08.2023 08:09 )

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Perché Carlo Mazzone non è mai stato un allenatore di moda? Domanda che valeva anche, anzi soprattutto, quando era in vita e in attività. Non ha infatti mai avuto una grande panchina, con tutto il rispetto per le tante squadre allenate oltre all'amatissimo Ascoli: occasioni metropolitane le ha avute soltanto alla Roma e brevemente al Napoli, ma certo non nei momenti migliori nella storia di questi club. E anche nel momento della sua morte prevale il Mazzone personaggio, spesso ridotto a macchietta romana (rappresentazione che peraltro anche lui ha spesso cavalcato), o peggio ancora a quell’invasato tecnico del Brescia che dopo il 3-3 segnato da Baggio corse sotto la curva dell’Atalanta che lo aveva insultato.

Più raramente e solo per interposto giocatore emerge l’uomo, di sicuro non l’allenatore. Ecco, come allenava Mazzone? Nell’immaginario collettivo è uno dei profeti del gioco a uomo che più a uomo non si può, ma in realtà il suo Ascoli degli anni Settanta giocava a zona, senza sbandierarlo e senza che Mazzone si spacciasse per profeta. In questo senso si è sempre venduto peggio degli allenatori che ai tempi avevano l’impermeabile da detective e che oggi magari hanno il maglione nero attillato. Tradotto in ternini moderni, Mazzone praticava una sorta di 3-5-2, ma non ci vengono comunque in mente sue lezioni di tattica. Tanto meno in quella televisione secondo lui piena di 'presentallenatori', definizione geniale per indicare allenatori falliti che aumentavano le loro quotazioni soltanto pontificando in televisione.

Certo Mazzone non teorizzava né praticava il tiki taka, tanto meno un calcio offensivo, anche se gli attestati di stima personale da parte di Guardiola lo hanno per qualcuno trasformato in una specie di Guardiola incompreso. Ma anche quando le sue squadre giocavano bene la loro cifra stilistica era la grinta, ai confini del regolamento e spesso oltre, visto che per buona parte della carriera il Mazzone vero, non quello ‘condiviso’ di oggi, ha avuto la fama di quello che a bordocampo incitava a picchiare e quindi tanto stimato dagli avversari non era.

Comunque anche Mazzone ha avuto il suo periodo da emergente, da Dionisi o Palladino della situazione, quando a 37 portò in Serie A l’Ascoli di Campanini, Silva e Perico, con successiva salvezza. Questo gli valse nel 1975 la panchina della Fiorentina di Ugolini, che aveva come leader un ventunenne Antognoni. Un anno di ambientamento e poi un esaltante terzo posto in Serie A, dietro a Juventus e Torino, con la squadra di Mattolini, Galdiolo, Tendi, Caso, Casarsa e ovviamente Antognoni. Sarebbe rimasto il massimo risultato ottenuto da Mazzone in carriera, insieme a quello di unico allenatore dell'universo a non essere invidioso di Baggio. 

Prigioniero degli stereotipi da vivo, da morto prigioniero dell'insopportabile nostalgia per un calcio orrendo ma chissà perché ritenuto più vero. Da vecchi alla ricerca del tempo perduto e da ventenni che non reggerebbero (giustamente) 10 minuti di una partita degli anni Settanta, anche di squadre non guidate da Mazzone. In definitiva il Mazzone allenatore ad un certo punto è stato messo nel cassetto anche da Mazzone, per sostituirlo con l'icona pop e con il culto riservato ai maestri anche se nemmeno i suoi ex giocatori si sono mai spinti fino allo spiegare come allenasse Mazzone.

stefano@indiscreto.net

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