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Mancini dopo il disastro© Getty Images

Mancini dopo il disastro

Dopo l'eliminazione dal Mondiale qualche domanda sul livello medio dei calciatori italiani, discutibile ma certo superiore a quello dei macedoni.

Redazione

25.03.2022 ( Aggiornata il 25.03.2022 13:36 )

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Il giorno dopo il secondo fallimento Mondiale consecutivo dell’Italia, ancora più clamoroso perché avvenuto a meno di 9 mesi dal trionfo europeo, è quello dell’analisi dei mali del calcio italiano, in attesa della decisioni di Mancini sul suo futuro: il contratto è fino al 2026, Gravina a caldo l’ha riconfermato, ma rimanere quattro anni nel mirino non è una bella prospettiva, nemmeno con il bonus di credibilità che si è guadagnato. Impossibile entrare nella testa del commissario tecnico, nell’attesa tristissima della partita di martedì contro la Turchia. Possibile invece fotografare lo stato di salute di un movimento, a prescindere dal disfattismo cosmico che in momenti come questo viene naturale.

Partiamo dal Mondiale. Non essere alla fase finale è una tragedia, in senso sportivo, perché di fatto una generazione crescerà senza aver mai visto un Mondiale con l’Italia nell’età della propria formazione. Certo esiste di peggio, se bombardano la tua casa è più grave, ma stiamo parlando di calcio. 12 anni senza l’Italia all’evento sportivo più importante del pianeta, dando per scontato il qualificarsi per il 2026, sono un periodo lunghissimo, di quelli che fanno disperdere un patrimonio di passione e di sogni che il calcio di club, privo ormai di ogni identità, non può dare. Indimenticabile il racconto di Wayne Rooney, cha da tredicenne dopo la splendida Inghilterra-Argentina del Mondiale 1998, peraltro persa dalla nazionale di Hoddle, scese in strada con la maglia di Owen, che poi nell’attacco dell’Inghilterra sarebbe stato suo compagno. Sotto questo profilo disastro assoluto, oltretutto contro una Macedonia inferiore all’Irlanda del Nord 1958 e alla Svezia 2018.

Ma davvero il livello medio degli azzurri è così basso? Gente che gioca nel PSG, nel Chelsea, nell’Inter, nel Milan, nel Napoli, eccetera, lo fa per caso? Per raccomandazione? Da ricordare che il più quotato dei macedoni, fra chi era disponibile, era Bardhi, trequartista del Levante. Per valori di mercato la rosa azzurra vale 856 milioni di euro (fonte Transfermarkt), 14 volte quella della Macedonia del Nord, poco meno rispetto a Francia e Spagna, 200 milioni meno dell’Inghilterra ma un po’ più della celebrata Germania. Sono congetture, non gol, ma significano che i calciatori italiani godono comunque di una buona considerazione da parte degli addetti ai lavori, al di là degli scontati discorsi sui giovani, suffragati dalle statistiche della Serie A e dalla recente denuncia di Nicolato.

Un altro grande tema di discussione è quello dell’attacco, inteso non come reparto ma come gente che deve fare gol. Immobile con l’Italia ha segnato 15 gol in 54 partite, quasi tutti ad avversari di secondo piano a parte Turchia e Svizzera ad Euro 2020. Un rendimento ben diverso rispetto all’Immobile della Lazio, e nemmeno iniziamo a parlare di Berardi e Insigne. Ma la storia del calcio, soprattutto quella recente, insegna che si può vincere anche senza il mitico grande attaccante. La stessa Italia di Mancini lo ha dimostrato l’anno scorso, senza Piola e Gigi Riva, quella di Lippi aveva come titolare Luca Toni, la Francia ha vinto un Mondiale con Guivarc’h e potremmo andare avanti a lungo. Si può vincere con Pasculli o Valdano anche senza avere Maradona. Insomma, un fallimento sportivo rimane una cosa diversa dal valore di un movimento. Poi di riforme da fare nel calcio ce ne sarebbero tantissime e non sappiamo se rendere l’italiano una specie protetta sia la principale.

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