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Da Scifo a Grifo, l'Italia nel cuore

Da Scifo a Grifo, l'Italia nel cuore

La convocazione del centrocampista dell'Hoffenheim nella Nazionale di Mancini fa tornare alla mente la vicenda di un campione che la maglia azzurra l'ha soltanto sognata, prima di avere una grande carriera con il Belgio...

Stefano Olivari

9 novembre 2018

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A questo giro di convocazioni uno dei colpi a sorpresa di Mancini è stato senza dubbio Vincenzo Grifo, che la maggior parte degli appassionati di calcio internazionale ha sentito nominare per la prima volta soltanto due anni fa, quando Grifo fece una grande stagione in Bundesliga con il Friburgo, prima di essere acquistato dal Borussia Moenchengladbach e di tornare infine all’Hoffenheim. Sorpresa anche se non si tratta di uno sconosciuto neppure per l'azzurro, viste le presenze di qualche stagione fa con l'Under 20 di Evani, che probabilmente da assistente di Mancini ha caldeggiato questa scelta. Impossibile, più per l'assonanza del nome che per le caratteristiche tecniche (anche Grifo è un centrocampista, ma gioca esterno e soprattutto a sinistra), tornare con la memoria a un altro figlio di italiani emigrati (loro non in Germania, ma in Belgio), Vincenzo Scifo, che per un certo periodo sembrò sul punto di poter giocare per la Nazionale di Bearzot.

Il bambino Scifo, nato a La Louviere nel 1966, proprio come Grifo si sentiva profondamente italiano e il padre Agostino, minatore originario della provincia di Agrigento, lo aveva cresciuto nel culto del ritorno a casa (non sembra il caso di Grifo). Tifosissimo della Juventus e in particolare di Roberto Bettega, da adolescente Scifo si adoperò per sostenere provini presso squadre italiane, dalle più grandi alle più piccole. Nessuna risposta, nemmeno un 'No, grazie'. Il sogno era bianconero, ma nel corso degli anni la famiglia Scifo avrebbe scritto un po’ a tutti ciò che sarebbe dovuto essere ovvio: un adolescente che giocava nell’Anderlecht e che a 17 anni avrebbe esordito nella prima squadra, oltretutto italiano, avrebbe meritato almeno di essere preso in considerazione. Nel 1983 l’Anderlcht gli propose un contratto quinquennale e lui, privo di offerte o anche solo di riscontri dall’Italia, accettò. Non fu comunque una scelta al ribasso, dal punto di vista calcistico, perché Scifo si ritrovò dalla sera alla mattina a giocare in una delle grandi d'Europa, nella squadra di Munaron, Grun, Morten Olsen, Vercauteren, Arnesen, Vandenbergh, eccetera. 

Il primo addetto ai lavori italiano a capire il potenziale di Scifo fu Enzo Bearzot, che lo paragonò immediatamente a Rivera. Ma quando il commissario tecnico campione del mondo tentò di andare sul discorso con la FIGC arrivò la notizia che il ragazzo proprio alla vigilia degli Europei del 1984, in Francia, aveva ottenuto il passaporto belga e per quanto riguarda la nazionale la sua scelta era da considerarsi irreversibile. Le telefonate di Juventus, Milan e Atalanta arrivarono troppo tardi e quella dell’Inter (il neopresidente neroazzurro Ernesto Pellegrini aveva ricevuto una segnalazione da un interista vicino di casa degli Scifo) non arrivò proprio. A 18 anni fu uno dei migliori giocatori della manifestazione e da lì iniziò una carriera ottima ma inferiore al suo talento, che gli avrebbe fatto disputare quattro Mondiali e anche raggiungere l’agognata Italia, per una stagione così così con l’Inter e due buonissime con il Torino.

Grifo ha altra storia e altro talento, da ragazzino non è stato certo un predestinato ed inoltre il suo rapporto con l’Italia è sempre stato meno drammatico e carico di aspettative rispetto a quello degli Scifo. Ma serve comunque a ricordarci che fuori dall’Italia ci sono milioni di italiani che rispettano e sognano l’Italia più dei residenti.

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