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La modernità di Agnolin

La modernità di Agnolin

È scomparso l'arbitro italiano più discusso e forse più bravo di tutti i tempi, rispettato anche da chi lo criticava. La sua personalità lo rendeva indigesto sia alle grandi sia alle piccole e nell'era del VAR sarebbe risaltata ancora di più... 

Stefano Olivari

29.09.2018 14:59

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Uno dei migliori arbitri italiani di tutti i tempi, forse il migliore, ci ha lasciato proprio agli albori dell’era del VAR (da lui non amato). Gigi Agnolin è morto all’età di 75 anni e la sua grandezza può solo parzialmente essere rappresentata dalle statistiche e dai riconoscimenti: 226 partite di serie A dirette fra il 1973 e il 1990, più una straordinaria carriera internazionale che lo ha portato ad arbitrare in due Mondiali, Messico 1986 e Italia 1990. La grandezza di Agnolin risiedeva però soprattutto nella personalità e nel rispetto nei suoi confronti che riusciva ad indurre anche nei giocatori più difficili.

Figlio d’arte, come molti arbitri (il padre Guido era stato anche lui arbitro di serie A e internazionale, anche se di livello inferiore), il professore di educazione fisica di Bassano del Grappa ha arbitrato innumerevoli volte le grandi storiche, essendo geograficamente ed emotivamente al di fuori dei giri Milano-Torino-Roma, ed è anche per questo che che il suo stile è rimasto bene impresso nella memoria di tutti gli appassionati di calcio. Uno stile che non significava essere infallibile, anzi, ma che gli dava la prima qualità di un arbitro e cioè la credibilità agli occhi di tifosi, giornalisti, dirigenti e soprattutto giocatori. Uno stile che sarebbe modernissimo, nell’età del VAR: svincolato dall’ansia di sbagliare la valutazione di un fuorigioco o di un tocco di mano, uno come Agnolin gestirebbe partite infuocate alla Agnolin, senza quella mentalità impiegatizia che sta iniziando ad impadronirsi della categoria. Insomma, un arbitro modernissimo. Anche se più volte si era espresso contro l'introduzione del VAR.

La credibilità e l’onestà di Agnolin portarono la FIGC a sceglierlo come successore di Lanese alla presidenza dell’AIA in piena Calciopoli, ma quella esperienza durò poco: Agnolin non piaceva né ai poteri forti, che sapevano di non poterlo manovrare, né a quelli deboli di cui lui metteva in evidenza la scarsezza. Non è un caso che non abbia arbitrato la Juventus in campionato dal 26 ottobre 1980 all’8 gennaio 1984: per più di tre anni il miglior arbitro italiano non fu designato per arbitrare, in campionato, la migliore squadra d’Italia… Per dare un’idea del carattere di Agnolin bisogna quindi ricordare questo caso.

26 gennaio 1980, derby di Torino: la Juventus gioca meglio del Torino ma perde 2-1, contestando due episodi: l’annullamento di un gol di Tardelli sull’1-0 per i bianconeri e l’irregolarità del gol della vittoria di Graziani. Normali polemiche calcistiche? No, perché nel dopopartita Zoff (Zoff!) dirà “All’arbitro avrei tirato un cazzotto” e Bettega riferirà una frase dettagli da Agnolin per farlo smettere di protestare: “State calmi, altrimenti vi faccio un… così”. Questo a caldo, mentre qualche giorno dopo a freddo Furino dirà “L’arbitro era in malafede”. A questo punto qualche giovane lettore potrà pensare che siano stati squalificati i giocatori della Juventus e richiamato Agnolin, al massimo che dopo qualche giorno si sia messa una pietra sulla faccenda. Invece dopo le squalifiche di Bettega e Gentile (due turni) oltre che di Furino e Tardelli (uno solo) e qualche settimana di sospensione per l’arbitro dal linguaggio pesante arriveranno da parte dell’AIA quattro incredibili mesi di squalifica per Agnolin ricordando in un comunicato che “Gli arbitri devono dimostrare rettitudine nella condotta pubblica e privata”. Va ricordato che il caso Bettega non fu isolato e un po’ tutte le squadre prendevano male la personalità di Agnolin: dall’Avellino (caso Braghin) all’Inter (problemi con Altobelli), dal Napoli (caso Celestini) al Monza (alcuni tifosi lo denunciarono per un rigore…), passando per la Roma (la famosa espulsione di Falcão per il 'carrinho'), quasi tutte le altre e addirittura il Real Madrid, che andò fuori di testa per un’ammonizione a Buyo che stava perdendo tempo. 

Nemico delle grandi furbizie, non a caso Blatter lo fece fuori da Italia ’90 dopo una sola partita diretta, ma anche delle piccole (non tollerava i finti infortuni: una volta litigò con il medico del Catanzaro che voleva soccorrere Palanca che rantolava a terra), nel mondo Agnolin sarà ricordato per le quattro partite di fase finale del Mondiale (Germania Ovest-Francia semifinale 1986 la più importante) e per la finale di Coppa dei Campioni 1988 fra PSV Eindhoven e Benfica. Non deve stupire che la sua carriera dirigenziale sia stata solo in minima parte nel mondo arbitrale e quasi sempre in ruoli marginali: molti colleghi non lo amavano, qualcuno in buona fede e altri no. A Roma, Venezia, Verona e Siena non ha lasciato grandi tracce, ma di sicuro ha aperto una via per tanti ex arbitri che si sono riciclati in altri ruoli, anche televisivi. Il miglior arbitro è quello che non si nota? Gigi Agnolin non la pensava così.

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