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Il valore del Milan di Gazidis© Getty Images

Il valore del Milan di Gazidis

Il passaggio del dirigente dall'Arsenal al club rossonero è indicativo dei piani della nuova proprietà ma soprattutto del cambio di mentalità nel calcio italiano, in parte indotto dal fair play finanziario...

Stefano Olivari

18.09.2018 15:43

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Ivan Gazidis è il nuovo amministratore delegato del Milan e il suo passaggio dall’Arsenal al club rossonero sta facendo notizia come quello di un calciatore. Un segno dei tempi, per certi aspetti anche positivo. Gazidis era il CEO dell’Arsenal dal gennaio 2009, ma da quando il fondo Elliott è diventato a pieno titolo proprietario del Milan dopo la fine della incredibile era di Yonghong Li (a meno di non credere a un pazzo che perde più di 500 milioni di euro per non averne trovati 32) il manager sudafricano di nascita ma totalmente inglese di formazione è stato il candidato principale alla guida dell’azienda Milan, con Paolo Scaroni presidente e Leonardo responsabile delle gestione sportiva.

Ruolo che ricoprirà ufficialmente a partire dal primo dicembre prossimo, dopo qualche settimana di transizione all’Arsenal prima di passare la mano a Raul Sanllehi (fra l'altro assunto da lui) e Vinai Venkatesham. La scelta di Gazidis ha sopreso molti, non perché l’Arsenal abbia un rango superiore al Milan (anzi, in campo internazionale è vero proprio il contrario), ma perché era stato lui a strutturare il club londinese per il dopo Wenger, a partire ovviamente dall’ingaggio di Emery come allenatore. Un club che in estate aveva trovato anche una stabilità a livello di proprietà, dopo che Usmanov aveva venduto tutte le sue quote a Stan Kroenke, che comunque dal 2011 aveva la maggioranza assoluta.

Forse ha influito la conoscenza personale con la famiglia Singer, cioè Elliott, forse (come si dice nei bolsi comunicati in ‘managerese’) c’era la voglia di nuove sfide dopo quella dell’Arsenal, arrivata dopo avere lavorato al lancio della MLS e anche in campi extracalcistici. Certo è che Gazidis dall’Arsenal al Milan impressiona gli addetti ai lavori del calcio europeo più dello stesso ipotetico percorso di Aubemayang, Ozil e Ramsey. Certo è anche che in quasi dieci stagioni con Gazidis al comando l’Arsenal non ha mai vinto la Premier League (nello stesso periodo ci sono riusciti almeno una volta Manchester United, Chelsea, Manchester City e Leicester City) e che solo una volta è arrivato secondo, nell’anno magico di Ranieri a Leicester, esultando per tre FA Cup che però nell'Inghilterra di oggi non hanno il valore di quelle di una volta. Certo è che il fatturato dell’Arsenal, che nel 2009 era di circa 313,3 milioni di sterline, è arrivato ai 422,8 milioni dell’ultimo bilancio (475 milioni di euro) certificato, il 2016-17.

Nel mondo un po’ ovattato della Premier League di oggi Gazidis è stato un bravo manager, fra i più pagati (3 milioni di euro lordi a stagione, più bonus) della lega, che ha accresciuto il valore del club vincendo poco o niente. Nel calcio italiano di una volta, quello che pretendeva il sangue, forse non sarebbe arrivato. In quello attuale, un po’ cloroformizzato dal fair play finanziario e da sudditanze varie, è invece l’uomo ideale per raggiungere i risultati che Elliott si prefigge.

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