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La Premier League in cui contano i Sarri© Getty Images

La Premier League in cui contano i Sarri

È partito un torneo sempre più ricco e con valori sempre più difficili da spostare, anche perchè la classe media comincia a tenersi i suoi migliori. Così l'allenatore diventa una delle poche leve su cui agire...

Stefano Olivari

12.08.2018 13:09

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Bisogna tornare agli anni Novanta per trovare un mercato di Premier League meno brillante di quello dell’estate 2018 e non è un caso che in questo inizio di campionato l’enfasi sia tutta sugli allenatori: la visioni di Guardiola, le lamentele di Mourinho, la rabbia di Klopp, la tristezza di Pochettino, l’eredità raccolta da Emery e il progetto Sarri, perché per sua fortuna (e sua bravura) l’ex allenatore del Napoli è dai media inserito nel girone degli allenatori da progetto, quelli che vincono loro o perdono i giocatori. Chissà se l’eccellente Mondiale disputato dall’Inghilterra di Southgate, con giocatori più modesti rispetto ai giovani che stanno emergendo, farà tornare la fiducia nel prodotto locale: per adesso su 20 squadre ce ne sono soltanto 4, tutte di terza fascia (il Bournemouth di Howe, il Burnley di Dyche, il Cardiff City di Warnock, il Cristal Palace di Hodgson), allenate da un inglese.

Ma tornando al mercato, bisogna osservare un fenomeno generato dall’abbondanza di soldi: non solo i giocatori di classe media vengono strapagati, come avveniva anche negli anni scorsi, ma in molti casi nemmeno vengono più ceduti dai club di seconda fascia. Quelle che per comodità definiamo le sei grandi della situazione hanno tutte insieme messo a segno soltanto 6 colpi oltre i 50 milioni di euro: Mahrez dal Leicester City al Manchester City, Alisson dalla Roma al Liverpool, Keita dal Lipsia sempre al Liverpool, Fred dallo Shakhtar Donetsk al Manchester United, Arrizabalaga dall’Athletic Bilbao al Chelsea, Jorginho dal Napoli al Chelsea. Si tratta di giocatori, con tutto il rispetto, che una squadra di serie A non avrebbe pagato più della metà. Senza bisogno di grandi analisi, soltanto il Liverpool (che ha preso anche Fabinho e Shaqiri) sembra migliorato rispetto all’anno scorso mentre Manchester United e soprattutto il Tottenham non hanno quasi toccato palla. Più brillante il mercato della classe media, in particolare quello dell’Everton di Marco Silva, che ha arricchito il Watford prendendo Richarlison (comunque uno dei pochi giovani che possa spostare qualcosa) e il Barcellona con Mina e Digne. Notevoli anche le operazioni del West Ham di Manuel Pellegriini, fra Felipe Anderson (dalla Lazio), Diop (Tolosa) e Yarmolenko (Borussia Dortmund).

Qual è la morale, perché una morale ci deve essere sempre? Nel calcio in cui girano i soldi veri, non solo la Premier ma anche la Champions League, spostare i valori e le posizioni acquisite è sempre più difficile. Esattamente dieci anni fa il Manchester City passava da Thaksin Shinawatra (comunque non un indigente) all’Abu Dhabi United Group, cioè l’attuale proprietà. Dopo qualche anno di errori il cambio di passo a livello di risultati e di status è sotto gli occhi di tutti. Nel calcio di oggi una cosa simile non potrebbe accadere, né in Inghilterra (quasi nessuno ti cede i suoi migliori) né in Europa dove l’oligarchia al potere sembra più interessata a consolidarsi che a vincere. In questo quadro una delle poche leve su cui si può agire è l’allenatore: in altri tempi un Sarri bloccato da De Laurentiis sarebbe stato salutato, in questi è stato aspettato alla stregua di un grande attaccante. 

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