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Il grande rimpianto di José Altafini

Il grande rimpianto di José Altafini

Compie 80 anni l'ex grandissimo attaccante di Brasile e Italia in due diversi Mondiali. Una carriera certo non all'altezza di quella vissuta nei club, per sfortuna e decisioni affrettate... 

Stefano Olivari

24.07.2018 12:36

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Gli ottant’anni di José Altafini sono il pretesto per rendere onore a uno straordinario attaccante e a un personaggio televisivo che di fatto ha introdotto in Italia il concetto di seconda voce, ai tempi della Telemontecarlo dei primi anni Ottanta. Fra tanti successi bisogna anche ricordare la scelta calcistica più scellerata della sua carriera, per sua stessa ammissione: quella di giocare nella nazionale italiana.

Da ricordare il contesto: a soli 20 anni Altafini era diventato campione del mondo con il Brasile, iniziando il Mondiale 1958 come titolare e finendolo da spettatore. Non perché fosse stato sostituito da Pelé (anzi, giocarono insieme il quarto di finale contro il Galles privo di John Charles) ma perché i vecchi dello spogliatoio, in particolare Nilton Santos, imposero a Feola l’utilizzo come centravanti di Vavà, tecnicamente più grezzo di Altafini ma ritenuto in possesso di maggiore senso del gol: in assoluto cosa non vera, le carriere di entrambi lo dimostrano, ma nel 1958 Vavà era senz’altro più maturo e più gradito all’anima carioca di una squadra che già aveva paulisti con grande visibilità come Gilmar, Pelé, l’allenatore e lo stesso Altafini. Logiche lottizzatorie non solo brasiliane, va detto. Comunque Altafini diventò a pieno titolo campione del mondo (aveva segnato anche due gol all’Austria che in difesa schierava Ernst Happel), pur non avendo giocato la semifinale con la Francia e la finale con la Svezia padrona di casa.

Il trasferimento al Milan, subito dopo il Mondiale, e la sensazione di avere subito un’ingiustizia allontanarono lentamente Altafini dalla Selecão, ma lui continuava a sentirsi brasiliano come è logico per chi è brasiliano: pensare che i passaporti siano semplici pezzi di carta è una cosa più vicina ai nostri tempi, purtroppo, che a quelli di Altafini. Che comunque, da figlio di italiani, si ambientò bene in un calcio italiano che veniva dal disastro della mancata qualificazione al Mondiale (a 16, non a 32). Nell’estate del 1961 Altafini litigò con Andrea Rizzoli, all’epoca presidente del Milan, per il rinnovo dell’ingaggio: il figlio del grande Angelo offriva 15 milioni di lire l’anno, Altafini ne chiedeva 20. Sul tavolo c’era anche un’ottima offerta della Fiorentina, ma non si concluse nulla e Altafini se ne tornò in Brasile per le vacanze facendo capire che al Milan avrebbero potuto non vederlo mai più. Dopo un mese di tira e molla Altafini capì che in Brasile non avrebbe avuto nemmeno dipinti i soldi italiani ed accettò le offerte di Rizzoli.

A questo punto iniziò una campagna mediatica per portarlo in una nazionale priva di grandi attaccanti italiani. Si arrivò così ad ottobre, al playoff con Israele decisivo per la qualificazione al Mondiale in Cile. L’Italia schierò tre oriundi all’andata (Lojacono, Sivori e Altafini) e tre al ritorno (Angelillo, poi ancora Sivori e Altafini), dominò e si guadagnò il Mondiale. Altafini segnò all’andata e sbagliò l’impossibile al ritorno, poi fece grandissime cose, due doppiette, nelle amichevoli premondiali con Francia e Belgio, infine in Cile ebbe la sfortuna di capitare nella Battaglia di Santiago dove nei 90 minuti, con l’Italia in 10 dall’8’ per l’espulsione di Ferrini e in 9 dal 41’ per quella di David, ma di fatto in 8 perché Maschio era infortunato, in un ambiente allucinante si batté con un coraggio che non sempre gli è stato riconosciuto. Un'Italia davvero eroica resistette sullo 0-0 fino a un quarto d'ora dalla fine, prima di crollare.

Altafini aveva solo 24 anni, era fresco di scudetto con il Milan che l’anno dopo avrebbe trascinato alla conquista della sua prima Coppa dei Campioni. Era convinto di avere un futuro azzurro, invece della sconfitta italiana vennero incolpati soprattutto gli oriundi, non la disorganizzazione federale che permetteva di fare le formazioni al presidente della Spal, Mazza, e ad alcuni giornalisti (testimonianza dello stesso Altafini), da Brera in giù, che facevano da suggeritori a Ferrari. Intanto il Brasile con Vavà centravanti diventò campione del mondo per la seconda volta. Edmondo Fabbri nei primi mesi da commissario tecnico azzurro sembrò prendere in considerazione Altafini, ma non lo fece giocare mai. E Altafini, non più brasiliano e scaricato dall'Italia, al Mondiale ci sarebbe tornato soltanto da telecronista.

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