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L'impresa assoluta di Francesco Molinari© AFPS

L'impresa assoluta di Francesco Molinari

Conquistando il Bristih Open il campione torinese è il diventato primo golfista italiano ad aggiudicarsi uno dei quattro Major. Un risultato dal peso specifico incredibile, al di là dell'importanza e della percezione del golf in Italia...

Redazione

23.07.2018 12:00

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Il golf non è certo lo sport più popolare del mondo ed è per questo che la grandissima vittoria di Francesco Molinari nel British Open, quest’anno disputato a Carnoustie (Scozia), da domani ma forse anche già da oggi varrà dal punto di vista mediatico meno di una finta trattativa per un terzino di serie B. Non è colpa di nessuno, si scrive e si parla di ciò che più interessa. Il resto è snobismo, nel nome di una presunta funzione pedagogica del giornalismo.

Detto questo, la prima vittoria di un italiano in uno dei quattro major del golf mondiale è qualcosa da inquadrare in un contesto. È come per un tennista vincere al Roland Garros (l’equivalente di Wimbledon, come prestigio, sarebbe l’Augusta Masters), impresa riuscita soltanto a Pietrangeli, Panatta e alla Schiavone. È come per un atleta vincere l’oro olimpico nelle specialità più prestigiose dell’atletica, 100, 1500 o maratona e in Italia è successo soltanto a Beccali, Bordin e Baldini. I Giochi si disputano ogni quattro anni, è vero, ma il golf è uno sport unico e tutti i migliori sono sempre in corsa per gli stessi titoli. La vittoria di Molinari vale invece meno di un titolo o di un piazzamento assoluto negli sport di squadra: meno di una Coppa del Mondo di calcio o di un oro olimpico in pallacanestro o pallavolo (che peraltro mai abbiamo vinto).

La cosa che però davvero distingue l’impresa di Molinari dalle tante altre dello sport italiano è che il golf di alto livello è un mondo profondamente anglosassone: come regole, come mentalità, come cultura, come partecipanti. Due statistica fra le mille: il 45% dei circa 34.000 campi da golf nel mondo è sul territorio statunitense, così come il 42% dei praticanti del pianeta è di nazionalità americana. In altre parole, un ‘latino’ gioca sempre in trasferta, sotto molti punti di vista, per quanto sia difficile pensare al torinese e apparentemente tranquillo Molinari come al prototipo del latino. Nei primi 10 del mondo, secondo il ranking PGA, c’è soltanto un golfista che non abbia l’inglese come lingua madre: non è Molinari (quindicesimo) ma lo spagnolo Jon Rahm. Allargando il discorso ai primi 50, gli intrusi a livello culturale sono 11. Una situazione simile a quella del tennis di qualche decennio fa, dominato da statunitensi e australiani.

Ma al di là della nazionalità, vincere un Major è un’impresa per tutti perché almeno una trentina di giocatori ha in canna la vittoria e il risultato è quasi sempre figlio di dettagli: il Molinari di Carnoustie è lo stesso che l’anno scorso a Southport (ogni anno la sede del British Open cambia, tranne che per il Masters) non superò il taglio, cioè non riuscì ad andare oltre il venerdì di gara. Lo stesso Molinari che al PGA 2017 arrivò secondo e che come terzo miglior risultato in carriera in un Major ha il nono posto di Muirfield (British Open) 2013. Insomma, una vittoria dal peso specifico pazzesco. E dire che in Italia il gol è prevalentemente uno sport di ricchi che vogliono fare pubbliche relazioni non la sminuisce, perché la dimensione internazionale di Molinari è assoluta. 

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