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Il Mondiale della Francia e dei calci piazzati© Getty Images

Il Mondiale della Francia e dei calci piazzati

La squadra di Deschamps ha superato la Croazia in finale ed ha conquistato la seconda Coppa della sua storia dopo quella del 1998. Primo bilancio a caldo di un torneo che già ci manca in maniera terribile...

Stefano Olivari

15.07.2018 20:56

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Una delle grandi favorite della vigilia ha vinto un Mondiale pieno di sorprese, in cui quasi tutte le grandi tradizionali hanno fallito. Onore quindi alla Francia di Deschamps, insieme al Brasile la rosa con più qualità media fra i 23 giocatori, che giocando un calcio puramente speculativo non ha rubato niente e in finale ha piegato una Croazia stanchissima per le tre partite vinte ai rigori o ai supplementari (è anche una colpa, perché con le inferiori Danimarca e Russia avrebbe dovuto chiudere prima) ma anche sfortunata nella prima ora di gioco, quella in cui ha costruito molto più dei francesi.

Per trovare una finale mondiale in cui si sono segnati sei gol bisogna risalire a Inghilterra-Germania Ovest del 1966, partita che però si era conclusa ai supplementari. E di più si è segnato soltanto in Brasile-Svezia 1958… Ma i tanti gol non sono andati di pari passo con la qualità del gioco, che non è stata migliore rispetto a quella di tante finali bloccate dalla tensione. Finché c’è stata partita è piaciuta di più la squadra di Dalic, brava a guadagnare sempre le fasce e trascinata da Vrsaljko e Perisic, poi i colpi dei francesi sono stati messi al momento giusto e nemmeno l’incredibile errore di Lloris sul pressing di Mandzukic ha fatto sperare la piccola (poco più di 4 milioni di abitanti) Croazia e i suoi tanti simpatizzanti anche al di fuori dei suoi confini. Esulta Deschamps, terzo allenatore della storia a vincere il Mondiale da giocatore e da allenatore, dopo Zagallo e Beckenbauer. 

Che Mondiale è stato? Proviamo a rispondere a caldo, prima di analisi che dureranno quattro anni e mezzo e con l’ovvia premessa che non si possono trarre conclusioni calcistiche definitive in base a poche partite giocate in situazioni estreme nell’arco di poche settimane e con alcuni allenatori e giocatori oggettivamente svantaggiati dal proprio passaporto. Cristiano Ronaldo aveva sulla carta meno probabilità di Messi di vincere un Mondiale, così come Giroud ne aveva più di Salah. Il Mondiale è storia, leggenda, memoria, cultura popolare: fa la differenza per essere ricordati nei secoli, ma non per dire chi è più forte oggi.

Russia 2018 è stato il primo Mondiale in cui nessuna delle stelle annunciate è stata al proprio livello e al tempo stesso nessuno dei campioni ‘normali’ né tantomeno degli emergenti si è nettamente staccato dagli altri. Cristiano Ronaldo aveva iniziato bene ma ha terminato affaticato e sottotono, Messi è stato travolto dalla confusione argentina che peraltro in parte è stata creata anche da lui, Neymar stava entrando in forma ma non abbastanza da ribaltare per il Brasile una partita maledetta come è stato il quarto di finale con il Belgio. La classifica dell’Adidas Golden Ball ha premiato Modric, davanti ad Hazard e Griezmann, ma nessuno avrebbe protestato mescolando le posizioni o inserendo Mbappé e De Bruyne, oppure più creativamente Perisic, Trippier, Courtois, Pogba, Godin e Kane. Insomma, una volta si diceva che i favoriti sentivano troppo la pressione ma oggi la pressione la sentono evidentemente tutti. Fare 200 gol contro squadre di sparring partner non è come giocarti la vita il 90 minuti contro altra gente che si gioca la vita. 

A livello tattico si è visto del gran 4-2-3-1, con qualche ortodosso del 4-4-2 (la meritevole Svezia su tutti) con modifiche a partita in corso, che ha mostrato molte partite quasi a specchio. Fra le nazionali che hanno superato i gironi soltanto l’Inghilterra e il Belgio, quindi due su sedici, giocano con la difesa a tre e soltanto nel caso di Martinez questo non si è trasformato in mancanza di gioco. Tanti discorsi e tante sofisticazioni, quando si sta a livello tattico tornando a un pensiero quasi unico e il grande lavoro si è spostato sul livello fisico e piscologico, per non parlare dell’attenzione totale alle situazioni da palla inattiva fra trenini, blocchi, finte e altre situazioni che rendono una squadra di serie C competitiva con una di serie A. Da qui il livellamento. Con oltre il 40% dei gol nati da situazioni di calcio piazzato (a Brasile 2014 eravamo al 27) è chiaro che molti valori vengono rimescolati. 

Tre grandi favorite su cinque hanno fallito, mettendoci del loro per favorire le sorprese. La Germania con sulle spalle la retorica del reclutamento giovanile, dello scouting, dei centri federali e del ‘come siamo bravi’ (un po’ la stessa dei francesi e ultimamente degli inglesi) è arrivata in Russia senz’anima e con un livello degli emergenti che non ha compensato l’imbolsimento degli altri. La Spagna ha esordito con l’esonero di Lopetegui, che veniva da due anni ottimi, per tornare al tiki taka da pilota automatico che è stato alla base del suicidio contro la Russia. L’Argentina è stata una polemica continua, costruire onestamente la squadra intorno a Messi poteva essere una scelta valida, ma ci volevano il miglior Messi e una allenatore con la personalità per imporre una punta di peso.

È stato un bellissimo Mondiale, anche se con molto già visto: nessuno dei giocatori del Belgio o della Croazia è una scoperta, a dirla tutta niente è ormai una scoperta. Però il Mondiale e le nazionali mantengono la loro magia e anzi l’hanno aumentata, in una sorta di ribellione contro chi vuole cancellare le identità e rendere tutto uguale. Cambiando le maglie gli undici titolari della Juventus potrebbero essere quelli del Manchester City e viceversa, ma un italiano rimane diverso da un inglese. Non migliore né peggiore, ma solo diverso.

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