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Il miracolo dell'Argentina autogestita

Nonostante un buon Messi la squadra allenata ormai per finta da Sampaoli ha strappato faticosamente alla Nigeria la qualificazione agli ottavi contro la Francia. Toccato il fondo, si può solo risalire...

Stefano Olivari

26.06.2018 22:36

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La storia del calcio e anche quella del Mondiale sono piene di squadre autogestite, con l’allenatore di fatto esautorato, però l’Argentina che quasi per miracolo ha raggiunto gli ottavi del Mondiale è un caso a parte perché Sampaoli, lo dice la sua storia, non è certo il tipo di tecnico che alleni per dimostrare qualcosa ai giocatori. Anzi, a dirla tutta non si è vista questa grande differenza fra l’Argentina autogestita vista contro la Nigeria e quella mediocre delle prime due partite. Un cambio di modulo, certo, con un 4-4-2 con tendenza al 4-3-3 per l’anarchia di un Di Maria poco ispirato, ma anche la stessa confusione delle prove con Islanda e Croazia. Insomma, una delle peggiori versioni di sempre dell'Albiceleste.

Lionel Messi ha dato una svolta al suo torneo con un gol fantastico per pulizia tecnica, su lancio di un buon Banega, ha sfiorato il raddoppio con una punizione finita sul palo, poi è stato travolto dal crescendo di nervosismo di tutti e dalla fisicità della Nigeria. Inesistente Higuain, mediocri le alternative dalla panchina come Pavon e Meza, Mascherano è l’evidente leader dello spogliatoio ma in campo viaggia sull’orlo dell’espulsione ed è poco più di un vigile urbano sfiatato che urla e dà indicazioni ai compagni. Il gol qualificazione è arrivato da un difensore come Rojo, mai visto segnare in questo modo. Il gol della vita, che apre scenari pazzeschi: un ottavo di finale contro la Francia, in cui scommettere non è consigliato, un possibile quarto contro Uruguay o addirittura Portogallo per la sfida Messi-CR7 che tutto l’Universo vorrebbe.

Già, Messi. Sotto gli occhi di un Maradona ai minimi storici di sportività (il dito medio mostrato alla fine in tribuna il top) e di lucidità, il giocatore con più pressione addosso a Russia 2018 ha tirato fuori un primo tempo di classe e orgoglio, più un secondo solo di orgoglio con la vista annebbiata dalla stanchezza e tanti passaggi per elementari sbagliati. Ha fatto impressione il modo in cui si è rivolto ai compagni, da leader sportivo più che emotivo, ma non è necessario essere un urlatore per farsi ascoltare. Il tutto con la presenza-assenza di un Sampaoli che da ottimo allenatore, ai confini del guru, è diventato una figura fra il tragico e il ridicolo: un capro espiatorio così pronto e mediatico nessuno lo vuole cacciare, ma di sicuro l’Argentina andrà alla sfida con gli uomini di Deschamps mettendosi ancora nelle mani della diarchia Mascherano-Messi. Vietato sottovalutarla, questa squadra che ha toccato il fondo e ha trovato il guizzo per tornare su, ma finora il suo Mondiale è pessimo e se diciamo che può soltanto migliorare lo diciamo per logica e non perché si siano visti grandi segnali. Il paragone Messi-Maradona rimane insomma molto più credibile di quello fra l’Argentina attuale e quella del 1986, squadra quadratissima, ben allenata e con un talento medio superiore a questa.

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