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Il Mondiale che manca a Paolo Maldini© LaPresse

Il Mondiale che manca a Paolo Maldini

I cinquant'anni di uno dei più forti giocatori italiani di sempre ci ricordano che per vincere il massimo trofeo del pianeta bisogna, fra le altre cose, anche avere la fortuna di capitare nella generazione giusta. E i rimpianti, non solo suoi, per come finì nel 2002 non sono soltanto suoi... 

Redazione

26.06.2018 15:23

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Non possiamo credere che Paolo Maldini abbia appena compiuto cinquant’anni, eppure è vero. Perfettamente inutile spiegare chi sia stato Maldini e cosa potrebbe essere per il futuro Milan o per la Nazionale, dopo 9 anni in cui sostanzialmente si è ritirato a vita privata (è comunque azionista del Miami FC) dicendo no a molte proposte e sì ad una, quella di Barbara Berlusconi, mai diventata realtà per l’opposizione di Galliani e perché arrivata troppo a ridosso dell’incredibile operazione con cui Berlusconi si è liberato del Milan, non facendo esattamente gli interessi del club.

In pieno clima mondiale troviamo che il modo giusto di celebrare uno dei più forti calciatori italiani di tutti i tempi sia ricordare i suoi quattro Mondiali, tutti e quattro giocati con squadre da titolo (anche quella del 2002, con Trapattoni commissario tecnico) ma sempre terminati fra i rimpianti. 23 partite con 4 allenatori diversi, tutte e 23 le partite disputate dall’Italia in quei Mondiali e in campo ogni minuto dei 90’ e anche delle partite andate ai supplementari (Argentina 1990, Nigeria e Brasile 1994, Francia 1998 e Corea del Sud 2002), risultando quasi sempre fra i migliori tranne che nell’ultima. Come accade nel pugilato, la grandezza si può vedere però anche nella sconfitta e non solo quando si alzano i trofei, come con la maglia rossonera a Maldini è capitato fin quasi a 40 anni.

La partita di Daejeon nacque male e non solo perché Trapattoni non era riuscito a dare un gioco a una Nazionale che con i parametri azzurri di oggi era di fenomeni: Buffon, Panucci, Nesta, Cannavaro, Gattuso, Totti, Del Piero, Montella, Vieri. Tutti nel fiore degli anni, tranne il trentaquattrenne Maldini… Il problema era in difesa, visto che per quegli ottavi Nesta era infortunato e Cannavaro squalificato. Trapattoni non fece invenzioni, spostando Maldini al centro, a fianco di Iuliano, con Panucci sempre sulla destra e Coco a sinistra. La designazione di Moreno, va detto, non destò polemiche perché già nel girone mal giocato con Ecuador (vittoria 2-0, con doppietta di Vieri), Croazia (sconfitta 2-1, ancora Vieri a segno) e Messico (faticoso 1-1, con pareggio di Del Piero nel finale) l’Italia si era lamentata degli arbitraggi e pensava così di avere ottenuto un credito nei confronti di Blatter.

La partita la ricordano tutti, dal rigore (netto, per una trattenuta di Panucci) parato da Buffon a tutto il resto e il fatto che la Corea abbia pareggiato a due minuti dalla fine il gol di Vieri non depone certamente a favore del complotto anti-Italia, anche perché il gol arrivò a causa di un disastroso rinvio di Panucci sui piedi di Seol. Nei supplementari l’Italia ebbe altre occasioni, ma anche la Corea fu pericolosa (pazzesca una parata di Buffon senza aver visto il pallone passato sotto la barriera) e dopo l’espulsione di Totti fu proprio Maldini il più colpevole sul golden goal di Ahn, senza saltare né disturbarlo mentre colpiva di testa.

Non è certo per questo che chiuse lì la sua carriera con la Nazionale, dopo 125 partite, chiedendo a Trapattoni di non chiamarlo più. In realtà non gli era piaciuto un certo clima vacanziero nel ritiro e sentiva di non far parte della generazione dei Vieri, dei Totti e dei Nesta, con cui peraltro (tranne che con Totti) aveva un buon rapporto, ma soprattutto aveva notato la lontananza della federazione, primo caso nella storia azzurra di un presidente federale che non segue le partite dei Mondiali sul posto (con la Corea però Carraro era allo stadio). Se avesse tirato avanti sarebbe riuscito a far parte della squadra campione del mondo 2006? Probabilmente no, ma questo non toglie che pochi come lui avrebbero meritato quel titolo. Un campione che non ha mai cercato di arruffianarsi media, tifosi e addetti ai lavori, un po' per caratttere e un po' perché non ne aveva bisogno: per questo uno dei pochi nel mondo del calcio ad essere davvero apprezzato in maniera trasversale, nonostante avesse una maglia (quella del Milan) e una bandiera (quella italiana) ben precise.  

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