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L'Inghilterra inglese di Harry Kane© AFPS

L'Inghilterra inglese di Harry Kane

La squadra di Southgate è l'unica, fra le possibili vincitrici del Mondiale, ad avere tutti i 23 convocati con una stagione 2017-18 disputata in patria. Situazione che non sempre in passato è stata un bene, ma che con questa generazione sembra invece un'arma in più...

Redazione

19.06.2018 12:30

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La buona prova dell’Inghilterra contro la Tunisia, al di là della vittoria strappata nel finale, permette di dire (almeno fino alla prossima partita, fa parte del gioco) che questa nazionale giovane e con meno personaggi pop rispetto al passato potrebbe anche fare strada, almeno fino ai quarti raggiunti nell’era Beckham. Essendo la Premier League il torneo più televisto del mondo, Southgate schiera comunque giocatori che al di là di Kane sono straconosciuti e per cui le presentazioni, nel bene e nel male, sono superflue.

Interessante è però notare che fra le grandi nazionali, allargando il perimetro delle favorite dalle cinque che tutti citano (Argentina, Brasile, Germania, Spagna, Francia) anche a Belgio, Portogallo e appunto Inghilterra, solo quella di Southgate schiera giocatori tutti provenienti dal proprio campionato. Un clamoroso 23 su 23, clamoroso per il mondo di oggi, che va confrontato ai 6 'stranieri' della Spagna (De Gea, Reina, Azpilicueta, Nacho Monreal, Thiago Alcantara e David Silva), agli 8 della Germania, ai 14 della Francia, ai 17 del Portogallo, ai 19 dell’Argentina, ai 20 del Brasile e ai 22 del Belgio (l’unico che viene dalla Jupiler League è il portiere Dendoncker).

Non occorre grande memoria per ricordare che i giocatori inglesi raramente hanno lasciato il proprio ambiente, nemmeno quando nel farlo avrebbero avuto quella convenienza finanziaria che oggi sicuramente non hanno: i fallimenti del passato hanno quindi lo stesso background degli eventuali buoni risultati del presente. Nell'Inghilterra del Mondiale 2014, allenata da Hodgson, l'unico non proveniente da campionati inglesi era Forster (Celtic, di lì a poco sarebbe passato al Southampton). In quella di Sudafrica 2010, guidata da Capello, gli inglesi di Inghilterra erano 23 su 23. In quelle 2002 e 2006, che con Eriksson selezionatore disputarono ottimi tornei arrivando ai quarti, gli 'stranieri' erano rispettivamente uno (Hargreaves) e due (Beckham e ancora Hargreaves). Insomma, l'Inghilterra è un'isola. 

Che giocare in patria non sia automaticamente indice di qualità ce lo dicono non i convocati dell’Arabia Saudita al Mondiale, ma quelli di Mancini nelle recenti tre amichevoli che hanno aperto il suo ciclo: dei 26 chiamati soltanto Zappacosta, Zaza e Balotelli hanno avuto un 2017-18 all’estero. Il caso inglese attuale ci sembra però diverso: l’attenzione della Football Association per il calcio giovanile, provata anche da un 2017 in cui si è vinto quasi tutto a livello internazionale, unita al fatto che chi emerge gioca nel campionato con più qualità media al mondo, fa sì che questa Inghilterra sia diversa da quelle del recente passato, magari più ricche di nomi. Southgate è andato in parte contro la storia, abbandonando la difesa a quattro dopo avere ottenuto la qualificazione a Russia 2018 e puntando nelle amichevoli sul modulo visto contro i tunisini. In generale intorno a Kane (che non è mai uscito da Londra, prestiti compresi, a parte una brevissima parentesi a Norwich) ha costruito un progetto credibile, dove ognuno sembra essere al suo posto e nel proprio ruolo. Non è abbastanza per gridare al miracolo, ma lo è per dire che qualche anno fa pur nella ricchezza della Premier League gli inglesi stavano come produzione di giocatori di classe medio-alta molto ma molto peggio di noi.

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