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La Germania che Löw non ha riacceso© AFPS

La Germania che Löw non ha riacceso

L'impresa del Messico contro i campioni del mondo non deve far dimenticare che da quattro anni il commissario tecnico tedesco sta facendo scelte ed esperimenti per fermare un declino che aveva intuito prima degli altri. Mai comunque dare per morta questa squadra...

Redazione

17.06.2018 19:44

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Prima che il Messico facesse l’impresa la Germania unita non aveva mai perso la partita d’esordio in un Mondiale: per trovare un precedente comunque tedesco bisogna andare al memorabile Algeria-Germania Ovest 2-1 del 1982, la partita che poi avrebbe ispirato la vergogna di Gijon con l’Austria. Più dei precedenti storici ha però colpito la confusione della squadra di Löw, che ha disputato un pessimo primo tempo, subendo le mille ripartenze messicane con ultimo passaggio quasi sempre sbagliato, e ha chiuso con in campo cinque attaccanti più Ozil, creando però pochissimi pericoli per Ochoa, che tolta la traversa di Kroos su punizione e qualche situazione di confusione non ha dovuto fare miracoli.

Al di là delle lavagne tattiche non si è vista la rabbia di tante rimonte mondiali tedesche, magari non perfezionate ma sempre emozionanti. Non aveva torto Oliver Bierhoff, quando qualche giorno fa aveva spiegato che il modello tedesco funziona sempre per i giocatori di classe media ma che la nazionale si è forse un po’ seduta sulle sue troppe certezze. La domanda, ovviamente prematura visto che in un girone con Svezia e Corea del Sud il passaggio agli ottavi non dovrebbe essere in discussione, è una sola: cosa non funziona in questa Germania?

È una domanda che ben prima di noi si è fatto anche Löw, fin dalle difficoltose qualificazioni a Euro 2016, con le sconfitte in Polonia e in Irlanda. In Francia i campioni del mondo sono arrivati alle semifinali con i denti, battendo nei quarti soltanto ai rigori la modesta ma compatta Italia di Conte, perdendo poi contro i padroni di casa trascinati da Griezmann. Qui il tecnico si è reso conto di dover dare una sterzata a un tran tran parente stretto della presunzione e ha iniziato a sperimentare tatticamente, passando alla difesa a tre, e anche come convocazioni: la squadra che l’anno scorso ha vinto la Confederations Cup in finale contro il Cile ne è un esempio. Un’autentica Germania B che però ha offerto al tecnico qualche alternativa: degli undici titolari di un anno fa erano in campo contro il Messico Werner, Draxler e Kimmich.

Avvicinandosi al Mondiale Löw è però tornato al passato e al 4-2-3-1, accorgendosi che il problema della Germania non era l’anno di inattività di Neuer, con il Messico peraltro sembrato quasi il Neuer di prima. Delle 4 amichevoli di lusso ne ha pareggiate 3, con Inghilterra, Francia e Spagna, e perso quella con il Brasile, facendo poi una brutta figura anche con l’Austria e battendo senza brillare la stessa Arabia Saudita sconfitta dagli azzurri di Mancini e distrutta dalla Russia. Nel calcio non esiste la proprietà transitiva ma sono importanti le sensazioni: quella di Löw è che bisogna intervenire adesso, credendo nei Reus e nei Brandt della situazione. Lo ha detto in qualche intervista, magari adesso lo farà anche. Mai comunque dare la Germania per morta: la storia non va in campo, ma il carattere di un popolo non si improvvisa. Quel carattere che in 18 partecipazioni mondiali, fra Germania unita e Germania Ovest, ha portato ad arrivare nelle prime 8 la bellezza di 17 volte e nelle prime 4 addirittura 13. Con squadre di qualità anche inferiore rispetto alla Germania attuale. 

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