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Il boom della Coppa Italia© LaPresse

Il boom della Coppa Italia

Il nuovo contratto per la Coppa Italia farà incassare il 60% in più rispetto al precedente. E comunque vada a finire la vicenda Mediapro, gli incassi televisivi del massimo campionato di calcio saranno il decuplo rispetto a 25 anni fa, quando il livello era leggermente diverso...

Redazione

08.05.2018 11:55

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La finale di Coppa Italia fra Juventus e Milan, all’Olimpico di Roma e in diretta televisiva su Rai Uno, arriva poco dopo il rinnovo dell’accordo con la Rai per trasmettere le partite della Tim Cup e della Supercoppa Italiana dal 2018 al 2021, per una cifra intorno ai 35,5 milioni di euro a stagione. Magari non fa notizia, rispetto al miliardo e 50 milioni annui (con punto interrogativo enorme per le note vicende che forse il 21, data limite per la presentazione della fideiussione, avranno una fine) di Mediapro per i diritti del campionato di serie A, ma si tratta di un clamoroso più 61% rispetto all’accordo precedente, cioè quello tuttora in essere. Siccome nessuno può seriamente sostenere che il livello del calcio italiano si sia nell’ultimo triennio alzato del 61% e meno che mai l’equilibrio fra i club sia aumentato (al di là degli scudetti, la Juventus ha vinto anche le ultime tre edizioni della coppa), è probabile che la Coppa Italia fosse sottovalutata prima.

Il punto non sono però questi soldi, che nel quadro generale sono spiccioli, ma il grande ritorno commerciale ed emotivo del calcio in chiaro. Con i grandi numeri ottenuti da Mediaset per le fasi finali della Champions League, dopo la sostanziale fine di Premium che a fine anno confluirà in Sky, gli ottimi riscontri di Sky per l’Europa League su Tv8 (che l’anno prossimo proporrà anche una partita di Champions League, rientrata nel pianeta Sky) e il Mondiale di Russia 2018 tutto in chiaro su Mediaset. Senza dimenticare il campionato Primavera che si vede su Sportitalia e la Serie C sulla stessa Sportitalia e su RaiSport. In altre parole, l’appassionato di calcio ‘medio’ che non sia tifosissimo di una squadra in particolare non avrebbe alcuna ragione per abbonarsi a una pay-tv.  Per fortuna di Sky, o di chi si aggiudicherà i diritti, questo tipo di appassionato esiste soltanto in percentuali limitatissime e tutti vogliono vedere come minimo tutte le partite della propria squadra, in maniera legale o (va detto) illegale. Di certo, fra botti piene e mogli ubriache, il calcio televisivo gode di grande salute e rimane importante per il chiaro, oltre che vitale per il pay.

Visto che la somma di Coppa Italia (35,5 milioni), diritti per l’estero (un clamoroso 370 milioni, onore al vituperato Tavecchio) e dei teorici soldi di Mediapro che in qualche modo verranno comunque avvicinati fa 1.450 milioni circa, non è strampalato chiedersi quanto sia cresciuto l’appeal commerciale del calcio italiano dopo 25 anni di pay tv (l’allora Telepiù iniziò a trasmettere i posticipi di A nel 1993). La pay-tv per quel posticipo settimanale (e un anticipo di B) pagava 44,8 miliardi di lire l’anno, mentre la Rai per Coppa Italia e highlights del campionato ne pagava 135. 180 miliardi del 1993 in termini di potere d’acquisto attuale equivalgono a circa 150 milioni di euro del 2018. In altre parole, oggi si vede (e si vende tutto), ma alla fine contano gli incassi e bisogna dire quindi che i ricavi televisivi in termini reali si sono decuplicati. Nonostante l'equilbrio competitivo e soprattutto la qualità dei giocatori arrivati dall'estero siano notevolmente peggiorati. Ci sono margini per fare meglio, con qualche manager-uomo della provvidenza? Forse. Di sicuro non ce ne sono per lamentarsi.

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