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Italia-Argentina da Bearzot a Di Biagio© LaPresse

Italia-Argentina da Bearzot a Di Biagio

L'amichevole di Manchester, esordio del nuovo commissario tecnico, riporta alla mente le tante sfide fra due grandi nazionali. Che gli azzurri hanno quasi sempre interpretato al meglio, ai Mondiali e nelle partite con in palio soltanto l'onore...

Stefano Olivari

22.03.2018 18:17

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È incredibile, in rapporto al numero di campioni assoluti che hanno vestito la sua maglia, fra i quali due dei primi tre di sempre, che l’Argentina abbia vinto soltanto due volte la Coppa del Mondo di calcio. La vituperata Italia, che contro di lei inizia l’era presumibilmente non lunghissima di Gigi Di Biagio, l’ha sempre però messa in difficoltà: l’ha incontrata per cinque Mondiali consecutivi, dal 1974 al 1990, e secondo la statistica non ha mai perso anche se è difficile non considerare una sconfitta la semifinale di Italia ’90, e due volte (una proprio ad Argentina 1978, l’altra nel 1982 al Sarrià) ha vinto. Di sicuro l’ha sempre messa in grandissima difficoltà, anche nelle non tantissime (9) amichevoli giocate, tutte in un’era relativamente moderna, dal 1954 con in panchina Alfredo Foni e fino al 2013 in piena era Prandelli. Le due storicamente più importanti sono però quelle del 1979 e del 1987, quando la Nazionale di Bearzot e quella di Vicini affrontarono i campioni del mondo in carica.

Sabato 26 maggio 1979 all’Olimpico, allo strano orario delle 19 e 15, Bearzot mise in campo un’Italia che con il senno di poi era l’anello di congiunzione fra due straordinari Mondiali: Zoff, Gentile, Cabrini, Oriali, Collovati, Scirea, Causio, Tardelli, Rossi, Antognoni, Bettega. Stesso discorso per Menotti, con il suo anello di congiunzione che si chiamava Maradona, escluso un anno prima: Fillol, Olguin, Tarantini, Gallego, Villaverde, Passarella, Houseman, Barbas, Luque, Maradona, Valencia. La partita fu bella come una partita vera: vantaggio argentino con Valencia ben lanciato da Passarella, Bearzot che continuava a cambiare marcatura su Maradona (da Oriali a Tardelli e viceversa), il bellissimo gol del pareggio di Causio (un sinistro al volo, dopo avere superato Tarantini), il vantaggio azzurro di Rossi bravo sul lancio di Antognoni a beffare per una volta la tattica del fuorigioco che Menotti stava sperimentando, il definitivo 2-2 di Passarella su un rigore concesso per un dubbio fallo di Scirea su Maradona (prima però Scirea, che nell’occasione dispiutò la peggior partita della sua grande carriera azzurra, ne aveva commesso uno più netto su Valencia). Bearzot fu soddisfatto e ottimista per l’Europeo dell’anno successivo, non immaginando nemmeno l’esistenza del calcioscomesse e della relativa indagine. Stesso ottimismo per Menotti, anche se la storia successiva avrebbe confermato che tenere nel 1978 Maradona lontano da quello spogliatoio non era stata poi una scelta strampalata. Da non dimenticare che in pieni anni di piombo gli argentini, espressione di un paese governato da una dittatura militare, avevano a Roma ricevuto minacce di vario tipo anche se poi Polizia e Carabinieri avevano svolto bene il loro compito.

Mercoledì 10 giugno 1987, a Zurigo, situazione simile ma non troppo: Argentina campione del mondo in carica con Bilardo in panchina e Maradona in campo, oltretutto fresco del primo scudetto con il Napoli, Italia di Vicini in piena ascesa e lanciata, pur venendo dalla sconfitta con la Svezia, verso la qualificazione a un Europeo (ci andavano in 8, con i padroni di casa dentro di diritto, altro che le gabbie aperte di oggi) che avrebbe ben giocato. Zenga, Ferrara, De Agostini, Bagni, Francini, Tricella, Donadoni, De Napoli, Altobelli, Giannini, Vialli contro Goycochea, Cuciuffo, Garré, Batista, Ruggeri, Brown, Alfaro, Siviski, Funes, Maradona, Olarticoechea. Un’Italia quasi B, dove per infortunio mancavano Bergomi, Ferri, Cabrini (ancora nel giro azzurro) e Baresi e per scelta tecnica, contestatissima, Mancini e Dossena. Un’amichevole fortemente voluta dalla FIFA di Havelange ma che quasi tutti si sarebbero risparmiati. Maradona e Pelé accesero la vigilia con qualche battibecco, ma in campo ad essere accesa fu soprattutto l’Italia che vinse 3-1 grazie a De Napoli (un sinistro dal limite, dopo un dribbling), un’autorete di Garré che con i criteri di oggi sarebbe stata gol di Vialli, e un gol ‘vero’ di Vialli, una fantastica fuga di conclusa dribblando Goycochea dopo che l’Argentina si era portata sull’1-2 con una deviazione fortunosa di Maradona. Anche se quella partita ci rimarrà nel cuore perché prima del fischio d’inizio Altobelli consegnò a Maradona la mascotte di Italia ’90, che al momento ancora non aveva nome e che qualcuno definì ‘Pinocchietto’. Soltanto due anni più tardi il popolo si sarebbe espresso, attraverso le schedine del Totocalcio, battezzandolo ‘Ciao’.

Davvero un’altra Italia, ma che con quella attuale ha in comune il commissario tecnico come capro espiatorio perfetto, l’uomo di cui si possono scrivere e dire le cose peggiori senza che qualcuno ti aspetti sotto casa o ti faccia perdere il lavoro. Di Biagio si goda queste due partite, comunque andranno: già allenare l'Italia significa essere nella storia. 

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