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Icardi come Boninsegna© Inter via Getty Images

Icardi come Boninsegna

I quattro gol dell'argentino contro la Sampdoria a Marassi sono un'impresa notevole, ma eccezionale è averla compiuta per la seconda volta in carriera. Ci erano riusciti soltanto Gilardino e uno dei più grandi attaccanti italiani di sempre...

Stefano Olivari

18.03.2018 19:06

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Dopo i quattro gol segnati da Mauro Icardi alla Sampdoria l’affannosa consultazione di almanacchi cartacei e online ci ha ricordato che quattro gol in una partita di serie A sono un’impresa ma non un Gronchi rosa come potrebbero essere un gol da metà campo oppure segnato da un portiere. Impresa compiuta da campioni (Rivera, Baggio, Vieri, Van Basten) ma anche da buoni giocatori in giornata di grazia: questo, senza offesa, è il girone di Otero, Berardi, Pozzi, Parolo e altri. In entrambi i gironi è stata sfruttata la giornata di grazia della propria squadria, quella pessima dell’avversaria, più alcune situazioni particolari, spesso da calcio di fine stagione con tutto ciò che ne consegue. Solo in un caso il poker è arrivato in una partita pesante e il pensiero va ovviamente a Vincenzo Montella nel derby di Roma. Esiste poi un Empireo di chi di gol in A nella stessa partita ne ha segnati cinque: in ordine cronologico ci sono riusciti Kurt Hamrin con la maglia della Fiorentina nel 1964, Roberto Pruzzo con quella della Roma nel 1986 e Miro Klose per la Lazio nel 2013.

Il paragone naturale, per quanto riguarda Icardi, è però quello con Roberto Boninsegna: non solo per la maglia interista ma perché entrambi sono riusciti nell’impresa ben due volte, unici in serie A a riuscirci insieme ad Alberto Gilardino (sempre con il Parma). Nel caso di Icardi la prima fu da giovanissimo con la maglia della Sampdoria, contro il Pescara e in una situazione emotiva molto particolare (era appena morto Riccardo Garrone), nel caso di Boninsegna tutte e due le volte nell’Inter, sia pure un’Inter minore come era quella di metà anni Settanta. Abbiamo l’età per essere stati testimoni oculari della seconda di queste imprese di Boninsegna, il 13 ottobre 1974 contro il Cagliari, a San Siro. Un calcio italiano un po’ depresso dopo il Mondiale tedesco (quello attuale invece pare soddisfatto di sé, nonostante il fatto che i Mondiali li guarderà da casa) e un’Inter senza tante prospettive, allenata da un Luis Suarez che non era stato accolto con grande calore dai suoi grandi ex compagni Facchetti e Mazzola. In piena depressione era anche il Cagliari: la carriera di Gigi Riva era vicina al capolinea ed in ogni caso quel giorno il più grande attaccante italiano di sempre, con Boninsegna che stando a Brera non gli era troppo distante, era assente per uno dei suoi tanti infortuni.

La squadra allenata da Beppe Chiappella, con in campo Ottavio Bianchi ma anche eroi dello scudetto come Niccolai, Gori e Nené, non offrì una grande resistenza e gli errori di Mario Valeri, un buon difensore che fra l’altro era uno dei pochi sardi della squadra, fecero il resto. Un sinistro e due colpi di testa di precisione, più un bolide (ci siamo immedesimati e parliamo come nel 1974) sempre di sinistro su una punizione di seconda: Boninsegna perforò quattro volte Copparoni ma stando alla memoria l’impresa non fu celebrata e non furono ricordati i precedenti, pur illustri. E nemmeno lo stesso attaccante, sia ai tempi sia adesso ricordando quei tempi, le ha mai dato troppa importanza. L’ossessione per le statistiche, nell’illusione di trovare qualche legge scientifica per il calcio, è una malattia abbastanza recente.

Nessuna statistica può spiegare la forza di Boninsegna, che non ha mai avuto troppa fortuna nei cambi di squadra: ritenuto troppo giovane per far parte della Grande Inter (ma Facchetti era più giovane di lui, quindi fu una scelta tecnica, sbagliata, di Herrera) fu mandato in provincia ed emerse proprio nel Cagliari, che però lasciò (va ricordato che non c’era la firma contestuale, il giocatore doveva andare dove i club decidevano: l’alternativa era ritirarsi) proprio l’estate prima della stagione dello scudetto. Scudetto che poi avrebbe ottenuto in nerazzurro, passando alla Juventus solo a 33 anni ma facendo ugualmente eccellenti cose, con due scudetti e la memorabile Coppa Uefa vinta da una squadra tutta italiana. Ai numeri va riconosciuto comunque il merito di darci pretesti per parlare dei grandi come Boninsegna, senza aspettare la morte o una ricorrenza.

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