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L'Italia che abbraccia i cinesi© LaPresse

L'Italia che abbraccia i cinesi

Le vicende di Inter e Milan, ma soprattutto i diritti televisivi gestiti da Mediapro, fanno riflettere sul fatto che soltanto in Italia i capitali di uno stato totalitario siano riusciti ad infilarsi nel calcio che conta. Colpa anche di una scarsa resistenza culturale...

Stefano Olivari

21.02.2018 10:39

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Lo stop agli investimenti di Zhang e il mistero che tuttora avvolge Yonghong Li, o chi per lui, non danno ottimismo ai tifosi di Inter e Milan, ma soprattutto fanno nascere una domanda: perché i cinesi, che stanno mettendo le mani sul calcio italiano visto che da poco controllano la Mediapro che gestisce i diritti televisivi della serie A dal 2018 al 2021, non sono stati fatti entrare nel calcio europeo che conta? In Premier League, cioè nella lega con più visibilità al mondo e che attira capitali da ogni parte, solo due club di secondo piano come Southampton e West Bromwich Albion hanno una proprietà in maggioranza cinese.

E per quanto riguarda le sei corazzate, ben cinque sono in mani straniere (si salva il Tottenham di Joe Lewis e Daniel Levy) ma soltanto nel Manchester City i cinesi sono riusciti a infilarsi, con un modesto 13%. Diciamo ‘cinesi’ in maniera generica perché anche nei casi inglesi è molto difficile distinguere fra imprenditoria privata, imprenditoria su concessione governativa e aziende di stato sotto mentite spoglie. In Ligue 1 nessuna presenza cinese significativa, così come nella Liga (il gruppo Wanda ha il 15% dell’Atletico Madrid, poi è in parte cinese la proprietà del Girona), in Bundesliga l’assetto giuridico dei club impedisce addirittura di parlare di proprietari: la 50+1-Regel (legge del 50% più 1) impedisce a chiunque, anche tedesco, di controllare la maggioranza di un club e le eccezioni valgono solo per chi il club lo abbia fondato p gestito per molti anni (Bayer Leverkusen e Wolfsburg, quindi).

Ma al di là degli aspetti regolamentari è chiaro che i capitali cinesi sono entrati nel calcio che conta soltanto in Italia. Colpa di chi ha venduto (Moratti, Berlusconi, la Lega e i club che ne fanno parte), senza dubbio, ma anche di una scarsa difesa culturale e identitaria da parte dei tifosi stessi, schiavi del mito del ricco che mette i soldi per farli divertire. Finché il ricco era italiano poteva esserci però una sorta di controllo sociale sul suo operato mentre adesso la realtà, comunque la si pensi, è che di chi sta prendendo il controllo della situazione non sappiamo niente. Solo che è espressione di uno stato che all'ultima rilevazione risulta totalitario, con un partito unico.

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