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Roma contro lo Shakhtar senza casa© LAPRESSE

Roma contro lo Shakhtar senza casa

La squadra ucraina è costretta dalle circostanze politiche a giocare in uno stadio a 500 chilometri di distanza dal posto in cui si allena. Una tragedia per l'ambiente e per gli incassi in campionato, mentre in Champions va un po' meglio...

Stefano Olivari

20.02.2018 14:44

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La trasferta di Champions League della Roma, per l’ottavo di finale contro lo Shakhtar Donetsk, ci ricorda una volta di più che la pace non è qualcosa di scontato e che in ogni caso bisogna essere almeno in due a volerla. La squadra allenata da Paulo Fonseca, messa sulla mappa del calcio che conta da Mircea Luscecu, è da circa un anno che gioca a Kharkiv, al Metalist Stadium già utilizzato per Euro 2012 (l’Olanda di Van Marwijk, ai tempi testa di serie, ci giocò le sue tre partite contro Danimarca, Germania e Portogallo) ma con una storia lunghissima visto che è stato costruito nel 1925 ed ha cambiato varie intitolazioni: la più inquietante è quella in onore di Felix Dzerzhinsky. Cioè il capo della Ceka, la polizia segreta ideata da Lenin in persona e che poi si sarebbe trasformata nel KGB (oggi FSB).

Il non piccolo problema è che lo stadio è a circa 300 chilometri da Donetsk e da dove lo Shakhtar in teoria dovrebbe allenarsi. Abbiamo scritto ‘in teoria’, perché in pratica lo Shakhtar è una squadra itinerante e il suo quartier generale adesso è a Kiev, che da Kharkiv dista quasi 500 chilometri. È come se Pioli preparasse le partite della Fiorentina a Firenze e poi alla domenica andasse a giocarle a Napoli. Con l’aggravante che la Donbass Arena di Donetsk, fra l’altro nuovissima e costruita per Euro 2012, ha una capienza superiore (52.000 contro 39.000) rispetto allo stadio di Kharkiv ma dal 2014 non viene utilizzata, un po’ per i danni subiti negli scontri fra separatisti filorussi e truppe governativi e molto per i pericoli tuttora incombenti. Così dopo un paio d’anni all’Arena di Lviv, altro stadio di Euro 2012, il trasferimento al Metalist Stadium rischia di non essere provvisorio. Con un effetto prevedibile sul pubblico: se in Champions League da Donetsk arrivano carovane di tifosi, comunque mai da realizzare il tutto esaurito (al massimo si è arrivati ai 33.154 dello scorso 6 dicembre, contro il Manchester City), nella tristarella massima divisione ucraina si gioca in uno stadio vuoto: venerdì scorso al 5-0 rifilato al Chernomorets Odessa hanno assistito 2.000 spettatori scarsi.

Come può stare in piedi tutto questo? Risposta facile: con i soldi della Champions League, che non solo in Ucraina falsano i campionati (nelle ultime otto stagioni soltanto in quella scorsa non si è arrivati alla fase a gironi), e con quelli del proprietario Rinat Akhmetov, fra i primi 300 uomini più ricchi del mondo. Il calciomercato è sempre abbastanza neutro, tanto entra e tanto esce nel vorticoso girare di brasiliani (all’ultimo conteggio sono 9) che dai tempi di Lucescu è un po’ il marchio di fabbrica, ma ogni tanto si piazza qualche gran colpo in uscita, tipo Alex Teixeira allo Jiangsu Suning per 50 milioni di euro o l’attuale juventino Douglas Costa venduto al Bayern Monaco per 30. Lo Shakhtar si è ritagliato una dimensione un po’ da Udinese della Champions, il che non gli impedisce di buttare fuori dalla competizione, ogni tanto, squadre più ambiziose: quest’anno il Napoli, nel recente passato Chelsea e proprio la Roma, ai tempi guidata da Montella. Tempi in cui lo Shakhtar aveva una casa.

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