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Smeltz e la crisi dell'Italia campione del mondo

Smeltz e la crisi dell'Italia campione del mondo

Ha lasciato il calcio l'autore dello storico gol della Nuova Zelanda agli azzurri, a Sudafrica 2010. Una partita e una rosa che spiegano chiaramente come la crisi non sia iniziata con il playoff di Ventura...

Redazione

12.02.2018 14:43

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Alzi la mano chi si ricorda di Shane Smeltz, l’attaccante neozelandese che a 36 ha appena lasciato il calcio dopo una carriera a livello di club quasi tutta vissuta in Oceania e molto significativa in nazionale, dove in 55 apparizioni ha segnato 24 gol. Il più importante di tutti quello del 20 giugno 2010, al Mbombela Stadium di Nelspruit, agli azzurri campioni del mondo di Marcello Lippi. Entrambe le squadre alla seconda partita nel gruppo F del Mondiale, entrambe reduci da un 1-1 all’esordio: l’Italia con il Paraguay allenato dal Tata Martino e la Nuova Zelanda, da netta sfavorita, contro la Slovacchia di un giovane Hamsik.

L’Italia giocava con Marchetti in porta, Zambrotta-Cannavaro-Chiellini-Criscito in difesa, Pepe-De Rossi-Montolivo-Marchisio a centrocampo, Iaquinta-Gilardino in attacco. Evidente la differenza di qualità anche soltanto con l’Italia dell’Europeo di due anni prima, in parte per colpa delle condizioni fisiche di Pirlo e di Buffon, ma comunque squadra sempre di un altro pianeta rispetto a quella allenata da Ricki Herbert, da giocatore uno degli eroi della qualificazione a Spagna 1982.

Al 7’ calcio di punizione dalla sinistra battuto da Elliott, palla spizzata di testa da un compagno, Cannavaro sbaglia il rinvio e Smeltz di punta anticipa Marchetti e segna il gol della vita. Gol in clamoroso fuorigioco, va detto anche senza nazionalismo: un modesto controllo al VAR avrebbe di sicuro portato all’annullamento. La reazione azzurra è buona: palo di Montolivo con un destro da lontano, poco prima del quasi invisibile (una lieve trattenuta per la maglia ) fallo da rigore di Smith su De Rossi, con trasformazione di Iaquinta. L’Italia tiene il pallino del gioco contro una squadra, va ricordato, modesta ma nel finale rischia addirittura la sconfitta: l’allora diciottenne Chris Wood (avrà una onorevolissima carriera in Inghilterra, adesso è al Burnley) va via a Cannavaro e di sinistro sfiora l’impresa. Pareggio che sta comunque stretto ad un’Italia che ha tirato 23 volte (!) contro 3 verso la porta avversaria. Nella terza partita del girone poi contro la Slovacchia si materializzeranno la sconfitta e il disastro, ma fino alla partita con la Nuova Zelanda nella testa di tutti c’era la presunzione di un’Italia che se la potesse sempre giocare anche con i più forti e quindi figurarsi contro una squadra arrivata al Mondiale dopo uno spareggio con il Bahrein. 

Adesso non vogliamo ripercorrere la carriera di Smeltz, ma solo usarlo come pretesto per ricordare che la crisi della nostra Nazionale non è iniziata nella tragico playoff contro la Svezia ma almeno un decennio prima. La formazione che Di Biagio schiererà contro nelle prossime due amichevoli con Argentina e Inghilterra non sarà di sicuro peggiore di quella che Lippi fu costretto a mettere in campo otto anni fa in Sudafrica. Oltre ai giocatori citati, nei 23 c’erano anche De Sanctis, Bocchetti, Bonucci, Maggio, Gattuso, Palombo, Camoranesi, Di Natale, Pazzini. E ai suoi critici, in verità nemmeno tanti, il Lippi 2010 rispondeva così: “Ditemi quali fenomeni ho lasciato a casa”. Che la crisi del calcio italiano sia iniziata da campioni del mondo in carica è significativo, probabilmente la presunzione di fare sempre risultato quando si è con le spalle al muro (quante volte abbiamo scritto cose del genere?) ha impedito di rendersi conto per tempo del problema e tutto sommato nemmeno adesso abbiamo davvero capito quanto sia grave non essere al Mondiale. C'è la lotta scudetto, fra squadre trascinate dagli stranieri, ci sono le coppe. In altre parole, il livello medio dei calciatori italiani non è peggiorato all’improvviso ma è un discorso che parte da molto lontano. Poi c’è sempre una grande differenza fra disputare un Mondiale deludente e non andarci proprio. 

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