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Il futuro di Kakà© LaPresse

Il futuro di Kakà

Il campione brasiliano ha lasciato il calcio a 35 anni, anche se già da tanto era lontano dai suoi migliori livelli. Incerto fra una carriera da allenatore o da dirigente, potrebbe essere la prossima bandiera del Milan a scendere nell'arena...

Stefano Olivari

18.12.2017 14:13

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L’addio di Kakà al calcio giocato è avvenuto molto più tardi rispetto al momento giusto, a 35 anni e con la parabola discendente iniziata da ben prima del 2013, quando tornò al Milan dopo 4 difficili anni di Real Madrid. Ultimo essere umano a vincere il Pallone d’Oro (era il 2007, con la maglia del Milan campione d’Europa e del mondo) prima che il premio venisse monopolizzato da Messi e Cristiano Ronaldo, il miglior Kakà è stato senza dubbio quello visto al Milan di Ancelotti, anche se si è trascinato con dignità fino all'epilogo ad Orlando.

Fra problemi fisici e ambientali (in rossonero era la stella assoluta, nel Real no anche perché arrivò la stessa estate di Cristiano Ronaldo preso dal Manchester United), raramente in Spagna si è visto il miglior Kakà e forse la freddezza con Mourinho (dal 2010) e l’ambiente madridista c’entra poco. Intanto perché l’operazione al ginocchio dell’estate 2010 ha di fatto chiuso l’era del miglior Kakà, a prescindere dal contesto, e poi perché nemmeno nella Selecão, nonostante il Mondiale vinto da ventenne riserva, le 83 presenze e le tante buone prestazioni è stato mai considerato un leader indiscutibile: forse non era considerato abbastanza ‘del popolo’, visto che viene da una famiglia dell’alta borghesia di San Paolo, forse non aveva un vero ruolo e questo te lo puoi permettere soltanto in una squadra dove sei nettamente il migliore, forse il ‘suo’ Mondiale, che era quello del 2010, se lo è giocato con troppi piccoli infortuni.

Ricardo Izecson dos Santos Leite è stato un campione e soprattutto un brasiliano atipico, che aveva come modello Raì: ottima carriera fra San Paolo e PSG, e anche nella rosa campione del mondo del 1994, noto anche come fratello di Socrates. Molto concreto e molto atleta, Kakà, almeno nei suoi anni migliori: raramente nella storia e mai nel calcio moderno si è visto uno con questa progressione palla al piede. Un gesto tecnico lungo anche quaranta metri che contro le difese del terzo millennio sembra impossibile, ma che lui faceva diventare facile ed esaltante. Il calcio dei videogiochi, per certi aspetti: sarà anche per questo e per la sua faccia pulita che Kakà è sempre stato amatissimo dai bambini e dagli sponsor, da Adidas ad Armani.

Kakà ha il fisico e l’atteggiamento del dirigente, nella peggiore delle ipotesi dell’uomo immagine. Negli spogliatoi che ha frequentato si è guadagnato il rispetto di tutti ma non è mai stato un trascinatore: difficile che possa diventare la nuova bandiera milanista mandata allo sbaraglio in panchina per coprire gli errori di altri, ma non si può mai dire. Di certo a Milano tornerebbe senza la moglie Caroline, che Milano mai l’avrebbe lasciata, visto che il matrimonio è finito. Va detto che la sua immagine straordinaria e positiva, non a caso è stato uno dei primi calciatori a diventare una vera star sui social network, è tutta da verificare alle prove della vita reale. Per fare il dirigente o l’allenatore non basta conoscere il calcio, ma questo non vale soltanto per Kakà. 

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