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Juan Antonio e gli altri che hanno detto basta

Redazione

21.01.2016 ( Aggiornata il 21.01.2016 09:00 )

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Ha destato curiosità la recente decisione di Juan Antonio, ex calciatore tra le altre di Brescia e Sampdoria, di appendere le scarpe al chiodo a soli 27 anni per dedicarsi a tutt’altro. L’argentino, da tempo ormai stabilmente in Italia, aveva progressivamente perso il treno che conta, finendo con l’abbattersi psicologicamente e palesando sempre più difficoltà a imporsi, nemmeno una volta sceso in categorie inferiori rispetto a quelle in cui aveva brillantemente esordito. Ma il suo non è un caso isolato, se andiamo a scorrere una parziale lista di coloro che, smesso con il calcio giocato – per i più svariati motivi – hanno intrapreso strade del tutto diverse. Classe 1988, nativo di Trelew in Patagonia, da giovane si ritrovava spesso a duettare nella nazionale Under 17 del suo Paese con un certo Kun Aguero, andandosi ben a integrare con lui, aitante e robusto, laddove l’asso del City era di contro rapido e sgusciante. Lo allena Passarella che gli predice un grande futuro al River, dove in effetti arriva a bruciare le tappe, fino alla chiamata del Brescia, società da sempre attivissima in fase di scouting. Era il 2010 e l’anno precedente la gloriosa società di Buenos Aires si era ritrovata indebitata e di fatto costretta a privarsi dei suoi migliori talenti. La squadra conoscerà l’onta della Segunda Division ma il fantasista, rimasto comunque nei ranghi grazie all’intervento dell’estimatore Passarella, vive da attore non protagonista quel brusco declino, essendo per la gran parte della stagione infortunato e ai margini. Nel Brescia, dopo una prima fase di ambientamento, con conseguente passaggio in prestito all’Ascoli, pian piano emerge, grazie alla sua propensione offensiva, ben compensata da doti fisiche che lo impongono all’attenzione generale del campionato cadetto. Juan Antonio incarna alla perfezione il prototipo del calciatore moderno, abbinando qualità tecniche e atletiche, velocità e senso del gol. Viene impostato alla bisogna anche come mezz’ala o tornante, oltre ai ruoli originari di fantasista e seconda punta. Insomma, il ragazzo comincia ad attirare attenzioni importanti, e il primo step è il passaggio alla Sampdoria, con la quale, dopo aver contribuito con buone prestazioni nei decisivi playoff alla promozione della squadra, esordirà in serie A. Voci non del tutto confermate lo danno vicino anche a società blasonate quali il Milan, l’Inter (che lo aveva trattato sin dai tempi del Sudamericano Under 17) e club europei. L’impatto con la massima serie è tuttavia duro e gli spazi si restringono, cosicchè tornerà in prestito già a gennaio al Varese in serie B, in una dimensione più congeniale. Sarà l’inizio di una vorticosa parabola discendente, tra infortuni, incomprensioni, scelte di piazze alle prese con varie problematiche – vedi Varese e Parma – che lo condurrà fino alla Feralpi Salò, in Lega Pro, nel giro di due stagioni e mezzo. Neanche qui l’argentino riuscirà a tornare protagonista, pur essendo in possesso di evidenti doti tecniche superiori per la categoria. Ma in queste serie, si sa, conta anche la predisposizione, la vis pugnandi, una buona componente caratteriale, anche solo per sopravvivere. Con il fallimento del Parma, che ne deteneva il cartellino, al termine della scorsa stagione, si ritrovò svincolato e, nonostante ormai i molti contatti col mondo del calcio italiano, cominciava in lui a balenare in testa l’idea di mollare tutto e di tornare nella propria Terra. D’altronde realisticamente aveva compreso che non sarebbe più tornato ai livelli di un tempo e, senza procuratore, le chiamate dei club tardavano ad arrivare. Rientrato in estate In Argentina dai propri affetti, riprese in mano la chitarra, strumento da sempre amato e strimpellato in gioventù. Il fratello, a capo di una rock band, lo chiamava talvolta a provare con lui, e da lì si riaccese la scintilla. Ad ottobre, poco più di un mese fa, è giunta ufficiale la notizia del suo definitivo ritiro e l’inizio di una nuova avventura nei panni di una (futura?) rock star! Nella storia recente del calcio, altri esempi sono passati ai posteri, di calciatori che, pur avendo tutto e pur essendo nell’immaginario di molti aspiranti calciatori come modelli di persone di successo, soldi e benessere, decidono di abbandonare questo mondo, non sempre dorato, per tuffarsi in altre imprese, spesso ancora più improbabili. Solitamente avviene verso la fine della carriera, quando le motivazioni ormai sono in fase calante, così come la forma fisica e le prestazioni sul rettangolo verde di gioco. Ma può capitare che anche pesanti infortuni o situazioni più gravi, di disagio psicologico o di altro tipo, possano indurre a simili decisioni. È successo al campione tedesco Sebastian Deisler, ritiratosi a soli 27 anni dopo aver bruciato le tappe in Bundesliga e in Nazionale, cui è tristemente nota la vicenda segnata, oltre che da frequenti infortuni, anche da una cronica e pesante depressione, ma in fondo era capitato anche a Marco Bernacci, classe 1983, promettente attaccante cresciuto nel Cesena e protagonista in B di stagioni significative e ricche di gol, di fermarsi d’improvviso per l’insorgere di questa patologia. Era il 2010 e Marco sembrava in piena rampa di lancio, finalmente in una piazza importante, come quella di Torino, smaniosa di tornare nel calcio che conta. Poi il centravanti si riprese ma qualcosa si era rotto, le priorità in lui si erano rimescolate, cosicché dopo un’altra stagione spesa tra alti e bassi in cadetteria tra Modena e Livorno, senza più lo smalto degli esordi, ecco la decisione di ridimensionare la propria attività calcistica, andando a calcare palcoscenici più vicini alla sua amata Romagna, prima nel Bellaria Igea Marina, quindi nella più “ambiziosa” piazza di Forlì, e nuovamente a Bellaria, sempre in Seconda divisione, ultimo scalino dei professionisti. Nel 2015 il definitivo saluto al calcio, ora divenuto solo passatempo nella Ribelle, società matricola per la serie D. Marco ha più volte manifestato in carriera una sorta di “saudade” in salsa romagnola e ora pare che voglia cimentarsi in un’attività tipica della riviera: gestore di un bagno, tra bar, ombrelloni e campi da foot-volley. Un suo conterraneo, Gianni Comandini, di sei anni più vecchio, ha vissuto una parabola simile, anche se più remunerativa in fatto di traguardi, avendo indossato le maglie della Nazionale Under 21 conquistando uno splendido Europeo e quella del Milan, col picco di una storica doppietta al suo primo derby (eguagliò Paolo Rossi, fino a quel momento unico giocatore ad aver esordito in un derby due gol). Picco che però rimase squillo isolato, visto che da lì in poi si assisterà a un suo notevole calo di rendimento, dovuto sì a una condizione fisico e atletica precaria ma anche a uno scarso temperamento. A soli 29 anni deciderà di chiudere, andando dapprima a coronare un suo antico sogno, girare il mondo finalmente a modo suo, non con i ritmi insostenibili delle trasferte calcistiche. Armato quindi di zaino, un biglietto di volo e una semplice guida, Gianni ha vissuto “da vagabondo” curioso quasi sei mesi in Brasile, con tappe poi a Porto Rico, Panama fino a stabilirsi per un anno in Messico. Successivamente, non pago di questo nuovo modus vivendi, è partito alla volta dell’Oceania, soggiornando in Australia, alle Fiji e in Nuova Zelanda, riuscendo a perfezionarsi in uno di quegli sport “esotici” e tanto attraenti, il windsurf! Nel frattempo si dilettava pure come deejay, un’attività parecchio in voga tra i calciatori, fino al ritorno nella sua Romagna, dove ormai stabilmente è impegnato come ristoratore e animatore presso un bar discoteca della Riviera. Visto che è stato toccato l’argomento musica, come non citare il caso dell’ex Valencia Gaizka Mendieta (ricordato in terra italica per un clamoroso flop alla Lazio), da sempre grande appassionato di musica elettronica e ormai attivissimo come resident deejay in club e locali della penisola iberica. Un Juan Antonio “ante litteram” fu lo spagnolo Alvaro Benito, attaccante canterano del Real Madrid, che riuscì persino a debuttare con i Blancos allenati all’epoca da Fabio Capello. La sua parabola però fu ben presto segnata da infortuni in serie che ne minarono sicurezze e prestazioni, e dalla crescente ambizione di intraprendere altre vie, una volta visto che col calcio non sarebbe stato competitivo a certi livelli. Ha così deciso di seguire la sua inclinazione artistica, formando la rock band Pignoise, di cui è leader, cantante e principale autore, e con la quale ha già inciso 4 dischi, riscuotendo buoni riscontri di pubblico e critica. Ma c’è anche chi ha scelte strade ancora più curiose, ardue, stravaganti. Il portiere Tim Wiese, ad esempio, folcloristico portiere del Werder Brema (che nel 2006 “consegnò” maldestramente a due minuti dalla fine un pallone allo juventino Emerson in una gara di Champions League) e comprimario della Nazionale tedesca, rescisso bruscamente il suo contratto con l’Hoffenheim, a soli 32 anni e nel pieno della vigoria fisica, lasciò per assecondare una sua crescente passione, il bodybuilding. Così, da un fisico esile ma già ben strutturato, ne ricavò uno scultoreo, ottenendo 115 chili di muscoli, al punto da diventare “appetibile” per la WWE, la più famosa lega mondiale di Wrestling. Il Tim Wiese che vediamo duellare sui ring americani, ha poco a che spartire con l’angelico portiere dai modi timidi e gentili che fu. Due sono i casi più noti di giocatori che hanno contrassegnato la loro vita dopo il calcio all’insegna del sesso e dello showbusiness ad esso legato. Il primo, Faustino Asprilla, già da calciatore affermatissimo non ha mai disdegnato piacevoli incursioni nel mondo dell’hard, destando scandalo per la relazione con una pornostar polacca residente a Parma, tale Petra Scharbach, che all’epoca divenne piuttosto popolare per questo presunto scoop e di conseguenza assidua frequentatrice di certi salotti televisivi dediti al gossip. Il ribelle Asprilla, dedito alla classica “vita spericolata”, non lo immaginavamo certo nei panni di un dirigente o di un allenatore una volta appese le scarpe al chiodo e difatti attualmente è diventato un imprenditore sui generis, avviando una linea di anticoncezionali, con tanto di spot very hot. Meno famoso sul rettangolo verde di gioco rispetto ad Asprilla fu l’italo belga Jonathan De Falco, modesto calciatore professionista con il Racing Mechelen ma a quanto pare in possesso di doti extracalcistiche. Rescisso il suo contratto a soli 26 anni alla fine del 2010, dopo un incidente che ne aveva compromesso l’ascesa, ha aperto dapprima un centro messaggi, facendosi notare anche come ballerino nei night club. La sua inclinazione sessuale, sempre tenuta segreta durante la carriera da calciatore, è venuta così a galla in maniera naturale, con un outing a lungo represso e la successiva aspirazione di lanciarsi nel mondo del cinema porno gay. Nel muscoloso attore Stany Falcone è davvero difficile rivedere quel fragile attaccante in cerca di gloria. Dal diavolo all’acqua santa con le prossime due storie qui di seguito. Chi non ricorda Taribo West, eccentrico e “indiavolato” difensore dell’Inter e protagonista a lungo con la maglia della nazionale nigeriana? Famoso per le treccine e per il grande cuore che riversava sempre in campo (oltre che per una condotta sul campo ai limiti della “violenza”) ancora durante la sua carriera (che lo ha visto anche passare di là del Naviglio, al Milan, prima di trasferirsi all’estero, con fugaci esperienze in Inghilterra, Germania, Arabia) era diventato assiduo sostenitore della Parola di Dio. Autoproclamatosi sacerdote pentecostale, ha fondato nella periferia di Milano, città dove tuttora vive, la chiesa “Shelter in the storm” e in un secondo momento si è concretamente attivato a sostenere i bambini nigeriani in difficoltà, fondando assieme all’amico George Weah, la “Taribo West Foundation”. Lontana dai riflettori ma sicuramente significativa è invece la vicenda di Graziano Lorusso, classe 1974 che da giovane promessa mosse i primi passi nel Bologna, lui pugliese di Gravina. Centrocampista di sostanza ma dai piedi finissimi, entrò precocemente nel giro dei “Grandi”, anche se all’epoca il Bologna non se la passava benissimo, tra serie B e addirittura serie C. Il ragazzo entrò a far parte della Nazionale giovanile Under 17 con cui andrà a disputare un Mondiale di categoria nel 1991 in un’edizione organizzata nel nostro Paese e vinta dal Ghana della meteora Nil Lamptey. In quella compagine Lorusso aveva compagni come il portiere Sereni, i difensori Birindelli e Sartor, l’attaccante Eddy Baggio, fratello minore del Divin Codino e un fantasista che già all’epoca dimostrava di possedere qualche numero in più rispetto agli altri: Alex Del Piero. Lorusso esordì a 19 anni in prima squadra a Bologna e in molti erano pronti a pronosticargli un grande futuro, vista anche l’enorme passione, la dedizione e la grande serietà e maturità con cui si poneva. Tuttavia, in lui covava qualcos’altro, di più profondo e spirituale. Arrivò quello che ha poi definito “la Chiamata” del Signore e nulla fu più visto con gli stessi occhi. Lasciò una vita comune a quella di molti coetanei, con una ragazza, una prospettiva di matrimonio e di probabilissima carriera nel mondo del calcio, per seguire la sua vocazione. Tuttora è abilissimo col pallone, come testimoniano le partite di beneficenza tra i frati di Assisi (dove è stato a lungo in convento) e gli attori o altre formazioni. E con il calcio vuole fungere da aggregatore per molti giovani, affinchè possano avvicinarsi alla Chiesa. Dopo un lungo cammino spirituale, sabato 20 aprile del 2013, Graziano Lorusso è stato ordinato sacerdote nella Chiesa Cattedrale di Gravina in Puglia, dopo aver curato per 12 anni la sua formazione in vari conventi dell’ordine dei frati minori. E per l’occasione, in questa sua nuova missione, gli giunsero anche i graditi auguri di molti suoi ex compagni del Bologna e delle nazionali giovanili, oltre che da allenatori illustri come Zaccheroni, Reja e Ballardini. Insomma, il calcio che per tantissimi bambini o giovani calciatori in erba, è ancora il sogno per eccellenza, a volte viene anche messo in secondo piano da coloro che hanno l’opportunità di viverlo in prima persona, perché a un certo punto della vita le vere priorità prendono il sopravvento e non sempre i soldi, il successo, la popolarità, o più semplicemente la passione, sono sufficienti ad affermare la propria persona. E un percorso irto di difficoltà come quello che dovrebbe condurre all’affermazione di una carriera calcistica, anche una volta raggiunta, potrebbe non bastare a rendere piena e felice un’esistenza. Gianni Gardon giannivillegas.wordpress.com

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