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Paris Saint-Germain, la faccia simpatica dell'Islam

Paris Saint-Germain, la faccia simpatica dell'Islam

Redazione

14.11.2015 ( Aggiornata il 14.11.2015 15:32 )

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Il terrorismo islamico che sta sconvolgendo Parigi e il mondo occidentale non ci ha trasformato in analisti di politica internazionale, quindi ci limitiamo a ricordare quanto si sta muovendo intorno al calcio e allo sport, sia come strumenti di consenso sia come teatri per manifestare in maniera violenta la propria forza. L'esplosione sentita al 17' di Francia-Germania, la prima di quelle avvenute allo Stade de France e dintorni, rappresenta senza dubbio un punto di non ritorno. Perché al di là di tutte le misure di sicurezza, non soltanto in Francia, gli stadi e gli impianti sportivi rimangono facilmente colpibili sia da strutture organizzate che da attentatori isolati, a maggior ragione quando questi cercano il martirio e non hanno bisogno di crearsi vie di fuga. Il valore simbolico del calcio è altissimo, niente nel 'nostro' mondo riesce a unire nello stesso luogo con continuità decine di migliaia di persone, il messaggio è quindi chiarissimo. Ed il fatto che sia arrivato in uno stadio dove nel recente passato la nazionale francese è stata fischiata da francesi di seconda o terza generazione, non perché giocasse male ma perché rappresentava la Francia, rende inutili troppe spiegazioni. Meno inutile è parlare della penetrazione del mondo islamico nello sport di alto livello europeo, che nel caso della Francia si è materializzata nel 2011 con l'acquisto del Paris Saint-Germain da parte della Qatar Investment Authority, ente pubblico di uno stato islamico e non democratico. Tutti ricordano i colpi clamorosi che da quel momento in poi sono stati messi a segno: Pastore, Lavezzi, Thiago Silva, Ibrahimovic, Cavani, Di Maria, eccetera... La squadra più forte di Francia (paese con quasi 7 milioni di musulmani su 68 milioni di abitanti) è quindi posseduta direttamente dalla famiglia regnante a Doha, gli Al Thani, che apparentemente si accontenta di campionati nazionali (nemmeno tutte le stagioni) e coppette locali. Le partecipazione del QIA nel mondo sono troppe per essere ricordate, dal mazzo estraiamo soltanto quote significative nella Barclays Bank e nella Volkswagen, oltre (citazione per l'orticello) all'intero complesso residenziale di Porta Nuova a Milano, mentre in Francia è partner privilegiato di quasi tutte le grandi aziende: da Total a Vivendi, da GDF Suez a France Telecom. Ma concentriamoci su Parigi, città che il Qatar attraverso il suo fondo o con altre società di fatto possiede: quasi tutti i grandi alberghi e gli spazi dei grandi centri commerciali, palazzi di lusso nelle vie che tutti abbiamo almeno sentito nominare, molteplici terreni anche nelle periferie e su cui pendono progetti immobiliari più popolari e per certi versi più inquietanti, vista l'origine della maggior parte degli abitanti locali. Questa invasione finanziaria e politica, con lo sport usato giusto per creare un'immagine rassicurante, è storia tutto sommato recente visto che è partita con le esenzioni fiscali per investitori esteri fortemente volute nel 2008 da quel genio (per riprendere la famosa domanda del professor Scoglio: dilettanti allo sbaraglio o professionisti in malafede?) di Sarkozy e lo stesso ingresso arabo nel PSG è stato fortemente caldeggiato dall'ex premier francese. Cosa vogliamo dire? La solidarietà con le vittime è doverosa, così come la risposta di polizia, ma la Francia non è probabilmente più in condizione di difendersi in maniera strutturale. Presto se ne accorgerà anche il tifoso beota che esulta per i gol di Ibra e sfotte il Troyes perché non ha soldi da buttare nel calciomercato. Intendiamoci: in Francia, in Italia e nel resto del mondo molti grandi club sono posseduti o stati posseduti da criminali (cosa che poi gli Al Thani non sono) di cultura laica, senza che la situazione ci abbia impedito di discutere di 4-4-2 o di quell'allenatore da esonerare. Ma era gente che inseguiva fini personali, senza essere parte di un disegno o, questo il punto, strumento di consenso, accettazione, sottomissione soft. Poi per difendersi si può anche ingaggiare Rambo o, come ha detto Hollande, chiudere le frontiere (e rispetto a chi ha il passaporto francese?), ma il problema di fondo rimane. Non è rappresentato da duecento o duemila morti, ma dal lento e quasi impercettibile mutamento del 'nostro' modo di vivere e di pensare. Dall'autocensura, prima ancora che dalla censura. Chiudiamo con il messaggio ufficiale del Paris Saint-Germain, due gelide righe sul sito in un sabato in cui anche sui campi della serie B italiana si è ascoltata la Marsigliese: "Suite aux événements tragiques qui ont frappé Paris dans la nuit, le Paris Saint-Germain tient à exprimer sa solidarité et sa compassion à toutes les victimes de ces odieux attentats, ainsi qu'à leurs proches". Gli attentati sono quindi definiti odiosi, non esattamente il primo aggettivo venuto in mente ai parigini. Twitter @StefanoOlivari 

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