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Copa Libertadores, la grande parabola del River Plate

Copa Libertadores, la grande parabola del River Plate

Redazione

06.08.2015 ( Aggiornata il 06.08.2015 09:42 )

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Dopo diciannove anni i Millonarios tornano sul tetto del calcio sudamericano. Quello del 1996 era il River di Crespo e Ortega, di Aimar e Almeyda. Questa invece è la squadra di Cavenaghi e Kranevitter, Funes Mori e Alario. Il filo conduttore ha un nome e un cognome: Marcelo Gallardo. Era in campo in quel River Plate-Amèrica de Cali 2-0 del 26 giugno 1996 ed è stato il magistrale architetto di questa squadra rampante e garibaldina. Eduardo Galeano, una tra le più alte espressioni della letteratura sudamericana, scrisse che “il calcio è l’arte degli imprevisti”. Se ne è andato – purtroppo - troppo presto, ma quelle parole dimostrano, per l’ennesima volta, come il suo pensiero fosse avanti anni luce. Perché questo trionfo dalle sfumature romantiche non nasce per caso ma ha origini precise e definite. È il 26 giugno 2011 (sì, sempre lo stesso giorno…) quando il River, per la prima volta nella sua storia, retrocede nella Primera B Nacional. Uno smacco per i Millonarios, la storica espressione della borghesia di Buenos Aires, confinati alla periferia dell’impero calcistico argentino. Ma è proprio qui che (ri)parte la scalata del River al calcio sudamericano. Dalla rinascita sotto la guida di Almeyda, passando per il trionfo in Primera Division targato Ramon Diaz fino a questo capolavoro firmato Marcelo Gallardo, ma sempre con un denominatore comune: l’esaltazione dei giovani talenti come base filosofica unita (perché no?) anche all’esigenza economica. L’orgoglio ferito della nobile decaduta miscelata alla sfrontatezza talentuosa della rosa a disposizione di Gallardo ha così generato la squadra più spettacolare del calcio sudamericano, pura estasi per gli esegeti del gioco. La partita giocata nella scorsa notte ha certificato, se ce ne fosse ancora bisogno, questa poderosa rinascita. Un 3-0 ai danni dei messicani del Tigres (dopo il pareggio dell’andata a reti inviolate) che pone una pietra miliare nella storia del calcio sudamericano, non solo argentino. Un risultato tutt’altro che scontato, alla luce del valore di un avversario in netta ascesa nelle gerarchie del calcio d’oltreoceano in virtù anche di un potere economico che ha permesso l’ingaggio di Gignac dall’Olympique Marseille e la costruzione di una squadra dal talento e dalla profondità invidiabili. Ma le reti di Alario,  Funes Mori e il rigore siglato Sanchez con cui i Millonarios si sono aggiudicati l’edizione numero 56 della Libertadores dimostrano che questo sport, talvolta crudele e beffardo, è in grado di scrivere delle storie dai contorni cinematografici. Adesso perciò è tempo di festa e celebrazioni allo stadio Monumental e in quello spicchio di Buenos Aires che batte cuore River: i Millonarios sono tornati. ¡Felicitaciones River! Stefano Sulis

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