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La pensione araba di Muntari

La pensione araba di Muntari

Redazione

28.07.2015 ( Aggiornata il 28.07.2015 10:58 )

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I 7 milioni netti all'anno che Sulley Muntari guadagnerà in uno dei mille Al-Ittihad (in arabo significa 'Unità', questo di Muntari ha sede in Arabia Saudita) sembrano uno scherzo quasi come gli 8 lordi che Giovinco sta prendendo a Toronto o i 10 (sempre lordi) che i resti di Anelka stanno prendendo in Cina, paese che ha fatto la fortuna anche di tutti i discendenti fino all'anno 3000 di Asamoah Gyan, che viaggia vicino ai 16. Tutte cifre difficili da verificare, visto che non si sta parlando di club quotati in Borsa, ma che indicano una tendenza chiarissima: i cosiddetti nuovi mercati, da quelli nordamericani a quelli asiatici, hanno bisogno sì di una crescita del prodotto locale e delle rispettive nazionali, ma soprattutto sono affamati di nomi per la loro attività quotidiana. E il nome te lo dà ancora la vecchia Europa, dove si gioca ancora il miglior calcio e di sicuro l'unico calcio che interessa al di fuori dei circuiti locali. Considerazione tecnica ma anche di immagine, perché a nessun appassionato europeo sano di mente importa dello Shangai Sipg o dello Shandong Luneng (ma anche di Toronto e New York, va detto). La differenza con i cimiteri degli elefanti di un passato remoto (la NASL di Pelé e Beckenbauer) è che i mercati emergenti sono adesso molti di più rispetto a quarant'anni fa, ma i calciatori di valore non sono certo aumentati e in ogni caso trovano ancora più conveniente fare la riserva nel Real Madrid che essere una stella in Qatar. Già invece fare la riserva nel Milan, cosa che era Muntari fra l'acquisto di un Suv e di un orologio per sé o per qualche membro del suo entourage, non è più ritenuta un'opzione interessante da parte di chi ha davanti l'ultimo grande contratto della carriera. Di qui la partenza verso Asia (auguri per i pagamenti) e America di molti trentenni un po' tagliati fuori dal teorema di Lotito, condiviso da quasi tutti gli addetti ai lavori tranne i procuratori: il giocatore di livello medio è un tumore per i bilanci e come risultati sposta poco, è più facile che un giovane sottopagato faccia il salto di qualità se trascinato da campioni o da un gioco collaudato. Di sicuro non c'è niente di male a scegliere in base alla convenienza finanziaria, soprattutto se si è già avuta una buona carriera e non ci sono prospettive da Champions League. Tutti badano ai propri interessi, ma per una distorsione mediatica che in altri tempi si sarebbe definita cattocomunista soltanto il calciatore viene fatto passare per mercenario. Questo non significa che i mercati emergenti alla fine emergeranno, almeno nel calcio e almeno finché vivere in Italia sarà meno peggio che vivere in Arabia. Anche per chi è ricco. Twitter @StefanoOlivari

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