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Il Mondiale di Carli Lloyd e la retorica sul calcio femminile

Il Mondiale di Carli Lloyd e la retorica sul calcio femminile

Redazione

06.07.2015 ( Aggiornata il 06.07.2015 11:17 )

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La Coppa del Mondo femminile appena vinta dagli USA per la terza volta nella loro storia si presta a molte considerazioni calcistiche, uscendo dalle grevi considerazioni di due bar di ideologia opposta: quello che giudica il calcio femminile un gioco 'da lesbiche' (parole anche di un dirigente, adesso ex dirigente, della FIGC) e quello che in nome della correttezza politica propone paragoni strampalati e vittimistici con i tornei maschili. Certo è che l'assenza dell'Italia, nonostante l'allargamento a 24 squadre, ha un po' da noi, nonostante l'impegno di Eurosport, smorzato l'interesse per la massima manifestazione dello sport più diffuso riferita a un sesso che all'ultimo conteggio dovrebbe essere quello di circa metà della popolazione mondiale. Sarà già tanto se leggeremo una breve su Carli Lloyd, protagonista della finale di Vancouver con il Giappone con tre gol nei primi sedici minuti (5-2 il risultato finale) ma soprattutto decisiva in ogni partita dagli ottavi in poi, per girare dalla parte degli USA partite quasi mai ben giocate. Per lei, a 33 anni, il coronamento di una carriera fantastica che può vantare anche due ori olimpici, un secondo posto mondiale e mille riconoscimenti individuali. 1. Al contrario di quanto avviene con la Coppa del Mondo maschile, l'inizio del torneo canadese è stato in sordina ma anche riscattato da una fase a eliminazione diretta che ha mostrato partite drammatiche ed emozionanti (su tutte la semifinale Giappone-Inghilterra, ma anche l'ottavo Australia-Brasile e il quarto Germania-Francia hanno impressionato il pubblico non tifoso). La nuova formula del resto sconsigliava alla grandi di essere a tutta già nei gironi: l'unica che si è presentata subito al massimo è stata la Germania di Silvia Neid, che ha chiuso con un terzo posto che suona come uno dei tanti piazzamenti di altissimo livello e con grandi rimpianti del calcio tedesco (Neid già promossa-rimossa). 2. Sul piano tattico ha come al solito dominato il 4-4-2, per molti versi questo Mondiale ci ha ricordato lo USA '94 degli uomini e non soltanto per la scarsa vena di molte attaccanti, a cui gli allenatori hanno chiesto più sacrificio che genialità. Senza contare poi che spesso la seconda punta altro non è stata che una centrocampista adattata, a partire ovviamente dalla stessa Lloyd che comunque in carriera ha sempre segnato tantissimo e soprattutto nelle partite decisive. Significativo che dei 14 gol americani nel Mondiale solo due siano arrivati da attaccanti pure. Il Giappone campione in carica ha giocato con lo stesso modulo, ma interpretandolo con giocatrici nei propri ruoli naturali (e quindi giocando esteticamente meglio, nell'arco del torneo), così come la Germania della co-capocannoniera Šašić, mentre l'Inghilterra ha proposto nelle fasi decisive un 3-5-2 molto bloccato ed il deludente Brasile è stato indecifrabile così come la sua capitana Marta: difesa a quattro sì, ma tanti cambi e troppa confusione. Il luogo comune dice che quello femminile è il calcio degli allenatori-scacchisti, ma in Canada di grandi strategie se ne sono viste poche e rispetto alle scorse edizioni non è in fondo per lo spettacolo stato un male. 3. Nel calcio femminile le differenze tecniche e fisiche sono molto nette, per una squadraccia è difficile fare le barricate. E anche all'interno del gruppo delle grandi le gerarchie sono evidenti. USA-Giappone altro non è che la stessa finale del Mondiale 2011 (vittoria giapponese ai rigori) e dei Giochi Olimpici di Londra 2012 (oro americano, con Lloyd a segno): nazionali figlie nel primo caso di una base di praticanti mostruosa e di un vero sbocco professionistico, che fa ritenere gli USA la vera terra promessa del calcio (anche soltanto come spettatori-consumatori), e nel secondo di una base più modesta ma sempre comunque legata al sistema scolastico-educativo e non, all'europea, a club che oggi ci sono ma domani chissà (di solito no). 4. Vivo è in tutti il ricordo di Joseph Blatter che nel 2006 non premiò gli azzurri campioni del mondo, per motivi mai davvero chiariti, ma nove anni dopo il presidente della FIFA è riuscito a superarsi evitando di presentarsi anche alla finale dopo avere disertato l'intero torneo. E questo proprio pochi giorni dopo il clamoroso dietrofront riguardo alle sue annunciate dimissioni (che erano, appunto, annunciate ma non ancora dimissioni) che lo aveva rimesso al centro della scena. A premiare le americane, per la terza volta campioni in sette edizioni, è stato così Issa Hayatou, che degli impresentabili potrebbe essere il re. Senza grande dietrologia, per Blatter il Nord America potrebbe essere pericoloso anche se la cittadinanza svizzera è tuttora uno scudo stellare anche nei confronti dell'FBI. 5. Il successo di pubblico è stato eccezionale, ma questo non significa che gli spettatori della Coppa del Mondo possano trasformarsi automaticamente in spettatori del calcio femminile di club. La cui intensità fisica e tecnica è, al di là della correttezza politica, nemmeno paragonabile a quelle maschili. Usciti dall'esaltazione del grande evento, che ha onestamente colpito anche noi, o dal tifo, il calcio femminile di club ha in Europa (Germania esclusa) limiti ben precisi e che poco hanno a che fare con idee sessiste. Semplicemente anche le stesse donne-spettatrici delegano la rappresentazione della propria identità a squadre maschili, per mille motivi e quasi nessuno deciso a tavolino da un gruppo di cattivi che vuole tenere 'basso' il calcio femminile. Ecco, risparmiamo il pistolotto retorico sui media che danno poco spazio al calcio femminile (o agli sport diversi dal calcio, classico piagnisteo olimpico quadriennale del fiorettista o del judoka), perché fondamentalmente alla gente interessa di sapere dove giocherà Salah e i media non possono esistere senza spettatori o lettori. Onore quindi alle donne del calcio, ma è più facile creare un grandissimo spettacolo ogni quattro anni, senza quindi inflazionarlo, che ogni settimana. Twitter @StefanoOlivari

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