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Addio a Graziano Colotti, la salvezza del calcio

Addio a Graziano Colotti, la salvezza del calcio

Redazione

29.05.2015 ( Aggiornata il 29.05.2015 10:35 )

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È morto ieri, a Macerata, Graziano Colotti, dopo una lunga e implacabile malattia. Dei suoi 63 anni di vita, moltissimi li ha dedicati al calcio, in particolare a quello di base, ricoprendo parecchi incarichi nella realtà marchigiana. Ultimo, in ordine di tempo, è stato quello di responsabile del settore giovanile del Tolentino. Ma è stato anche un lettore attento, appassionato e fedelissimo del Guerin Sportivo, un nostro amico, uno di casa. Ci è sembrato giusto ricordarlo. di Livio Balestri Forse Graziano Colotti era la salvezza del calcio. Forse era il problema del calcio. La salvezza, perché era uno di quei tecnici che amano lavorare con i ragazzini per educare uomini oltre che calciatori, pensano alla tattica ma più alla tecnica e ancor di più all'etica, guardano non al risultato ma a come l'ottieni, badano alla lealtà e al rispetto dell'avversario, e non nei grotteschi e retorici modi degli spot Tim, ma sul serio. Il problema, esattamente per gli stessi motivi: gente così ormai è d'intralcio in uno sport diventato un combattimento tra cani miliardari, col pubblico che si scanna ancor di più mentre li guarda, tipo spalti del Colosseo. Ufficialmente tutti si riempiono la bocca di lodi per questi allenatori, tanto le parole non costano niente. Soldi per i progetti che hanno in mente, manco a parlarne. Lasciare gestire il calcio a loro, men che meno. In realtà chi conta davvero non vede l'ora che gente così- esaurito un ruolo di testimonianza, di ornamento, di copertura in buona fede di tante bruttezze - levi il disturbo e li lasci lavorare. Graziano il disturbo l'ha levato, con la sua solita discrezione, morendo dopo una malattia bastarda. Allenava nelle sue Marche, fra Tolentino e San Severino. Quarant'anni di calciatori sfornati perdendoci tempo libero (il suo vero lavoro era vigile urbano), soldi (figurati quanto ti rimborsano) e nervi (dirigenti ottusi, più varie ed eventuali). Ma soprattutto aveva sfornato persone capaci di capire varie cose. Che la vita non è solo un prato verde, una linea bianca laterale, una palla da mettere dentro. Che vincere è bello e importante, e se capita è meglio e devi provarci fino all'ultimo e migliorandoti, ma può andare diversamente. E che se va diversamente magari devi ammettere che gli altri sono stati più bravi, o fortunati, di te. Insomma, persone che poi affrontavano meglio la vita grazie ai suoi insegnamenti e ai suoi valori (scusate la parolaccia). Anche per questo non aveva mai voluto neppure provare a uscire dal settore giovanile, preferiva lavorare sulla materia prima, formarla. E ogni tanto gli capitava di formare qualche campioncino, intuendone le potenzialità e lavorandoci sopra, perché di calcio ne sapeva assai. L'ultimo che aveva scoperto ha appena finito la prima stagione nel Milan: Jack Bonaventura. Guarda caso è stato il migliore anche in una stagione ridicola, e guarda caso è l'unico che in una squadra (come tutte, ovvio) di tatuati, palestrati, twitterati, egocentrici, dà l'impressione di essere un ragazzo normale, che si informa, vive la vita di tutti, magari legge anche un libro ogni tanto. Già: Graziano organizzava pure presentazioni e dibattiti di libri a tema sportivo, aveva un sacco di amici giornalisti e scrittori che rispondevano "presente" a ogni sua convocazione. E a quelle serate portava i suoi ragazzi e li faceva discutere e ragionare. Oltre che le gambe cercava di allenare i cervelli. Non credo che fosse restato l'unico a farlo, anzi, ne sono sicuro, ma era l'unico che conoscevo. Anche per questo mi mancherà. Al calcio vero, quello che conta, Graziano non mancherà affatto: non si accorgerà neppure che è morto, intento com'è a discutere di calciomercato e scandali vari.

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