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L'estate di DiVincenzo© nba.com/knicks/photos

L'estate di DiVincenzo

Il passaportato da non sbagliare, gli Stati Uniti senza stelle e le accuse di Sacchetti

Stefano Olivari

26.03.2024 ( Aggiornata il 26.03.2024 10:33 )

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L’Italia ha problemi sottocanestro, ma come si fa a rinunciare a uno come Donte DiVincenzo? Che ai Knicks sta vivendo uno dei momenti migliori della carriera ed è reduce da una notte in cui ne ha messi 40, sia pure contro i derelitti Pistons (senza Fontecchio, infortunato), con 11 canestri da tre punti che sono anche il record di franchigia. Insomma, la nazionale di Pozzecco già al preolimpico in Portorico potrebbe avere come ‘straniero’ un giocatore NBA vero, non un comprimario, uno che fra l’altro ha sempre fatto parte di realtà vincenti, al college con Villanova e poi con i Bucks. Fra l’altro DiVincenzo fra i vari italianizzabili è quello che più di altri, almeno a parole, è caldo nei confronti della maglia azzurra. Molto più di Drew Eubanks, per dire, altro giocatore vero che risolverebbe molti dei problemi di Pozzecco con i lunghi, al di là del fatto che questa ricerca del passaportato sia eticamente censurabile ed il fatto che riguardi quasi tutte le nazionali la rende ancora più censurabile. Piccolo dettaglio: DiVincenzo il passaporto non ce l’ha ancora, stando alle sue stesse parole. Rimane un sogno, ma un sogno possibile.

Nessuno dei primi migliori quattro giocatori della NBA è statunitense. Le proiezioni del sito ufficiale della lega per la corsa al titolo di MVP parlano chiaro: primo Nikola Jokic (e sarebbe il suo terzo premio come MVP), secondo Shai Gilgeous-Alexander, terzi Luka Doncic e Giannis Antetokounmpo. E dopo Jayson Tatum, quinto, c’è Domantas Sabonis. Insomma, nei primi sei un serbo, un canadese, uno sloveno, un greco e un lituano. Ce ne sarebbe abbastanza per parlare di pallacanestro statunitense in crisi, secondo certi schemi. Ma Jokic è arrivato nella NBA a 20 anni, quando era soltanto un ottimo giocatore di una mediocre squadra di ABA Liga. Gilgeous-Alexander gioca negli Stati Uniti fin dall’ultimo anno di high school. Antetokounmpo è arrivato a 19 anni dalla Serie B greca. Sabonis è addirittura nato a Portland, dove giocava il suo immenso padre, e dopo essere cresciuto a Malaga a 18 anni è andato a fare il college a Gonzaga. Insomma, fra questi campioni l’unico ad essere arrivato nella NBA già da stella assoluta, per quanto a soli 19 anni, è stato Doncic. In altre parole, gli Stati Uniti rimangono la terra promessa della pallacanestro anche se in questo momento storico hanno meno grandi stelle, come certificheranno le convocazioni olimpiche a colpi di LeBron James, Durant e Curry.

Mentre la Serie A a 6 giornate dal termine si chiede se Virtus Bologna, ieri dominatrice e Brescia e tornata capolista, e Olimpia Milano riusciranno ad evitare di incrociarsi prima della finale salva-ascolti, grazie ai segnali di vita di Brindisi sembra essersi riaccesa la lotta salvezza con lo specialista Sakota alla ricerca del terzo colpo consecutivo dopo quelli con Reggio Emilia e Pesaro. Ecco, Pesaro. Encefalogramma piatto, pur avendo gli stessi punti di Brindisi, ed un allenatore che accusa i giocatori di pensare soltanto alle proprie statistiche, ad essere buoni. Viene da dire che Sacchetti abbia ragione, ma non è questo il punto e non lo è nemmeno che Pesaro sia stata costruita in economia, come del resto mezza Serie A: fra l’altro il migliore contro Reggio Emilia è stato McDuffie, qui da soltanto 7 partite. Il punto è che in questa pallacanestro di precari tutti giocano per sé stessi, soprattutto in realtà, come purtroppo la Pesaro odierna, funzionali soltanto a trovare un contratto da altre parti. Insomma, anche Sacchetti pur essendo arrivato soltanto a gennaio, ha le sue colpe perché sulla carta Pesaro, pur con il suo budget risicato (sui 4 milioni di euro) non ha un organico inferiore a Cremona, Varese e Treviso che la precedono. 

stefano@indiscreto.net

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