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Olimpia a tre stelle© LaPresse

Olimpia a tre stelle

Il club milanese è diventato campione d'Italia per la trentesima volta superando la Virtus Bologna alla settima partita delle finali. Un successo meritato, in un torneo a due squadre...

Stefano Olivari

25.06.2023 06:31

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L’Olimpia Milano ha vinto il suo trentesimo scudetto contro la rivale più prestigiosa, la Virtus Bologna, e nella maniera più emozionante, in gara 7 di una serie finale in cui è sempre stato rispettato il fattore campo: il 100% di vittorie in casa a Milano e Bologna, con una sola partita (gara 4 a Bologna) davvero in bilico, non è un grande spot per gli arbitraggi e la credibilità del sistema. Per questo Scariolo penserà ancora a lungo, ovunque alleni l’anno prossimo, allo sfondamento non fischiato a Banks su Shengelia che in campionato ha dato la vittoria a Treviso e il secondo posto alla Virtus. Il sistema in finale ha comunque avuto le due corazzate che c’entrano zero con il resto della Serie A, non solo con chi fatica a mettere insieme il pranzo con la cena ma anche con le Sassari e Tortona travolte nelle semifinali. Discorsi fatti tante volte, con Armani e Zanetti che non hanno colpe: ma certo il sistema non funziona e verrà presto il giorno in cui chi ha una cilindrata da Eurolega farà soltanto l'Eurolega, magari presentandosi in Italia per i playoff. 

Due corazzate, Olimpia e Virtus, che in Eurolega hanno fatto malissimo, in rapporto al budget, ma con la squadra di Messina che ha avuto il merito di svoltare con l’ingaggio di Napier, mentre la Virtus è andata avanti un po’ per inerzia, senza alcuna mossa per sparigliare le carte, e nella serie finale ha avuto poco da alcuni uomini chiave come Teodosic e Shengelia, mentre abbiamo trovato straordinaria la personalità di Hackett. L’Olimpia nei momenti decisivi è stata trascinata da Napier, ma soprattutto da Melli e da Shields, senza dimenticare un Baron chirurgico. Merito del Messina allenatore quello di effettuare scelte nette nei momenti decisivi, giocando di fatto in 9 ma soprattutto escludendo Davies e Mitrou-Long, cioè due arrivati e strapagati come stelle (non dimentichiamo gli altri dispersi Pangos, Thomas, Luwawu-Cabarrot), situazione che evidenzia gli errori enormi del Messina dirigente visto che il solo ingaggiop di Davies corriponde al budget di un'inters quadra di A che si possa salvare tranquillamente. 

Dal lato Virtus, con Scariolo anche lui a rotazioni ridotte (ma in certi momenti la lucida follia di Mannion avrebbe fatto comodo), mediamente male gli esterni, tranne Hackett, e troppo altalenanti i lunghi: l’allenatore bresciano aveva ragione nel chiedere un lungo di puro fisico prima dei playoff ed analizzando la serie finale con il senno di poi è difficile contestare che l’Olimpia sia la squadra che ha tirato meglio e che è stata più intensa a rimbalzo. Non a caso nelle partite vinte la Virtus è riuscita a tenere botta soprattutto sottocanestro, aspettando i momenti buoni delle guardie: nell’ultimo atto malissimo Belinelli, che però nel resto della serie si era battuto bene, insufficiente Teodosic che con Bologna dovrebbe chiudere qui, e il solito Pajola specialista, che si nota (in peggio) quando gli altri sparacchiano. In generale Messina aveva più armi di Scariolo, non si può dire che questo scudetto sia un’impresa leggendaria ma in questo triste campionato a due è stato meritato.

Fra le note positive della serie finale c’è che gli ascolti televisivi sono andati relativamente bene: gara 7 è stata vista su NOVE, quindi in chiaro, da 455.000 spettatori con il 2,9% di share. E altri 107.000 hanno seguito la gara su Eurosport, più quelli di Eleven. Come share stiamo parlando di un terzo di Lecco-Foggia di Serie C del calcio, ma anche di quasi il triplo di Gara 1 della stessa Olimpia-Virtus, senza metterci a fare imbarazzanti paragoni con certe partite di stagione regolare da zero virgola. Manca una terza forza, soprattutto manca un pubblico interessato alle partite delle altre squadre e non soltanto della propria.

stefano@indiscreto.net

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