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L'epoca di John Fultz

L'epoca di John Fultz

Addio ad uno degli stranieri più amati della pallacanestro italiana, a Varese ma soprattutto nella Virtus Bologna dei primi anni Settanta...

Stefano Olivari

14.01.2023 09:48

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La morte di John Fultz ha colpito nel profondo chi si è appassionato alla pallacanestro nell'Italia degli anni Settanta e non perché Fultz sia stato il miglior giocatore visto in Serie A. Pur essendo stato un grande realizzatore non lo metteremmo fra i migliori stranieri nella storia del nostro basket. Però le sue tre stagioni alla Virtus Bologna, oltretutto in un periodo un po' depresso nella storia del club, rimangono memorabili perché Fultz seppe essere personaggio in maniera naturale, non costruita.

Per i capelli lunghi e la fascetta che lo fecero soprannominare Kociss, certo, ma anche per la sue prese di posizione su temi extrasportivi, come la guerra in Vietnam, lo stile di vita estremo ed un uso di droghe che fra i giocatori americani dell'epoca era frequente. E soprattutto per la sua fusione totale con la città e con l'Italia, nonostante lui avesse tutto per giocare nella NBA (e a maggior ragione nella ABA) dell'epoca. Non a caso, nonostante il peregrinare anche come allenatore in Europa e in Italia, il centro della sua vita è rimasto a Bologna, anche per via dei figli, fra i quali Robert che per quasi vent'anni è stato un ottimo professionista (lui però con il cuore Fortitudo). Di culto anche l'anno da straniero di Coppa nella Varese di Raga e quello a Pordenone in A2, senza dimenticare i tre anni al Viganello nell'allora seguitissimo (in Italia) campionato svizzero ed il buon periodo in Portogallo.

Insomma, se la NBA del 1970 avesse avuto 30 squadre uno come John Fultz in Italia non lo avremmo mai visto, ma il punto non è questo, bensì che la pallacanestro italiana di mezzo secolo fa riuscisse a produrre personaggi a ciclo continuo, personaggi capaci di interessare oltre i confini della parrocchietta. A sentire certi racconti, sembra che Fultz e Gary Schull si siano sfidati in 50 derby di fila, quando le stagioni in cui entrambi hanno militato nelle squadre bolognesi sono state due. Non si tratta quindi di avere il passaporto italiano o no, ma di rappresentare qualcosa.

Certo nella Serie con un unico straniero era più facile, anche perché questo straniero doveva per forza di cose essere fortissimo: Fultz fu quindi il trascinatore, nella prima stagione anche capocannoniere della Serie A, alla Virtus con le squadre di Tracuzzi (per poco) e poi di Nico Messina e della scommessa (di Porelli) Dan Peterson, squadre già buone con i vari Bertolotti, Ferracini e Serafini (Fultz fece in tempo a giocare a che con un giovanissimo Marco Bonamico), ma non ancora da corsa, anche se la Synudine 1973-74 alzò la Coppa Italia. Ma i ricordi valgono più dei trofei e Fultz ne ha lasciati tanti in chi rimpiange una pallacanestro dove i tifosi conoscevano i nomi dei giocatori avversari. 

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