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L'anno di Fontecchio© LAPRESSE

L'anno di Fontecchio

Guerin Basket sul 2022 italiano, la statua di Nowitzki e le statistiche di Banks. 

Stefano Olivari

27.12.2022 ( Aggiornata il 27.12.2022 17:06 )

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Che 2022 è stato per la pallacanestro italiana? Non si può non partire dall’incredibile avvicendamento fra Sacchetti e Pozzecco alla guida della Nazionale, senza alcuna ragione tecnica (nemmeno parliamo dell’impresa compiuta al preolimpico di Belgrado nel 2021) e addirittura in contrasto con il pensiero dei giocatori. Poi Pozzecco all’Europeo giocato senza Gallinari infortunato ha fatto bene, con l’impresa contro la Serbia negli ottavi e quella sfiorata contro la Francia nei quarti: davvero c’era l’opportunità di tornare a quella medaglia pesante che manca dall’argento olimpico del 2004. Inutile ricordare i tiri liberi di Fontecchio, visto che è stato proprio Fontecchio insieme a Melli, Polonara e Spissu a portare gli azzurri fin lì. Pozzecco, per dirla alla Petrucci, è un bravo comunicatore, e per quello che si è visto negli ultimi anni anche un discreto allenatore: certo è che a forza di mettersi sullo stesso piano dei giocatori il rischio è che questi non lo prendano sul serio. Comunque la Nazionale bene, con l’asterisco della vicenda Banchero che sta facendo passare un concetto pericoloso: con Banchero grande Italia, senza Banchero la solita Italia che deve andare oltre i propri limiti. Invece proprio le grandi competizioni FIBA, con regole diverse (su tutte l’assenza dei tre secondi difensivi) e arbitraggi comunque più fiscali, hanno dimostrato che le stelle NBA alla Jokic o alla Antetokounmpo non sono sono garanzia di successo. Buono anche il rendimento dei top club italiani nelle coppe più importanti: l’Olimpia Milano è uscita nei quarti di Eurolega per mano dell’Efes di Larkin e Micic, futuro campione, la Virtus Bologna ha vinto l’Eurocup conquistandosi sul campo la promozione, la Reggiana è stata finalista nella pur clandestina FIBA Europe Cup. Dovendo scegliere un volto non si può non scegliere quello di Fontecchio, trascinatore in Nazionale e all'ennesimo salto in avanti della sua carriera, questa volta agli Utah Jazz.

I Dallas Mavericks di Luka Doncic prima della partita natalizia stravinta contro i Lakers hanno inaugurato la statua dedicata a Dirk Nowitzki e adesso collocata fuori dall’American Airlines Center. Il fuoriclasse tedesco è raffigurato nel suo classico tiro da fenicottero, su un piede solo ed in allontanamento, e non c’è bisogno di ricordare che cosa abbia fatto in 21 anni di NBA sempre con la stessa maglia. Michael Jordan sostiene che sia stato il miglior ‘international player’ NBA di sempre, di certo è stato insieme all’Antetokounmpo di due stagioni fa l’unico a vincere un titolo NBA, quello del 2011, da leader della squadra, mentre altri grandissimi (Pau Gasol, Tony Parker, Kukoc, Ginobili) lo hanno sì fatto ma al massimo da seconde o terze punte. Discussione aperta, mentre non è discutibile chi sia stato il più importante: Drazen Petrovic, che fra il 1989 e il 1993 cambiò la percezione del giocatore proveniente dal mondo FIBA.

Adrian Banks con i 29 punti messi contro Tortona, fondamentali per la vittoria della sua Treviso, ha superato quota 4.000 punti segnati in Serie A. Merito anche di ciò che ha fatto con Varese, Avellino, Brindisi, Fortitudo Bologna e Trieste nel corso di nove stagioni in Italia, riferendoci soltanto alla stagione regolare. Un traguardo che nella pallacanestro pre-Bosman sarebbe passato inosservato e che adesso invece fa notizia, visto che un grande realizzatore come Banks nella sua carriera italiana ha una media punti di 16,4 a partita pur avendo un minutaggio significativo (31,5) per gli standard di oggi. Non c’è una morale, perché dai tempi di Morse e Jura la pallacanestro italiana è (purtroppo) cambiata, ma solo la realtà: nessuno fuori dalla parrocchietta degli appassionati sa che faccia abbia Banks e meno che mai Frank Bartley, capocannoniere stagionale (eccellente anche nella vittoria di Trieste su Trento). Questo della riconoscibilità dei protagonisti per la Lega dovrebbe essere il primo problema da risolvere, prima ancora di mettersi a discutere del perché il pubblico generalista non segua il più il basket.

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