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Mezzo secolo con Pero Skansi

Mezzo secolo con Pero Skansi

Addio ad un grandissimo della pallacanestro jugoslava, croata, mondiale ed italiana...

Redazione

06.04.2022 ( Aggiornata il 06.04.2022 12:59 )

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Con Pero Skansi se ne va un grandissimo della pallacanestro jugoslava, croata, italiana, mondiale. Non soltanto per ciò che ha vinto, tantissimo, o per ciò che è andato vicino a vincere, sempre tantissimo, ma per l’enorme intelligenza e per la sua personalità che oggi si definirebbe ‘divisiva’ ma che negli anni d’oro della nostra pallacanestro era un pregio che faceva conquistare spazi al di là dei tabellini.

Classe 1943, da centro della nazionale jugoslava Skansi vinse tutto tranne l’oro olimpico (fu argento a Messico 1968), essendo troppo vecchio per far parte della squadra di Mosca, mentre da allenatore ha legato gran parte della sua carriera all’irripetibile campionato italiano degli anni Ottanta e Novanta. Prima alla Scavolini Pesaro, dove era stato anche da giocatore, sfiorando lo scudetto contro l’Olimpia Milano di Peterson, poi a Fabriano, Venezia, Roma e soprattutto Benetton Treviso, con lo scudetto 1991-92 alla guida di una squadra che aveva stelle come Toni Kukoc, Vinny Del Negro e Stefano Rusconi e l’amarissima sconfitta nella finale di Eurolega l’anno dopo contro il Limoges di Maljkovic. In mezzo la meravigliosa avventura olimpica da allenatore della Croazia a Barcellona, con la squadra di Drazen Petrovic seconda solo al Dream Team originale. Bella e amara anche l’esperienza alla Fortitudo Bologna, da allenatore della squadra sconfitta nella finale scudetto del fallo di Dominique Wilkins su Danilovic e conseguente tiro da quattro.

Ma al di là dello sport vissuto da protagonista, Skansi è stato l’archetipo dello slavo uomo di mondo ed ogni grande della pallacanestro dell’ultimo mezzo secolo ha pochi gradi di separazione con lui, spesso nessuno. Giocatore di Nikolic e Zeravica, compagno di Cosic, Korac, Solman, allenatore di Drazen Petrovic, Kukoc, Kicanovic, Delibasic, Radja, Magnifico, Myers. A rimpiangerlo anche i suoi tanti avversari, probabilmente nel basket senza identità di oggi non ne avrebbe avuti. 

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