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Doncic il migliore rimanendo europeo

Doncic il migliore rimanendo europeo

La terza puntata di Guerin Basket: la prima stagione NBA di un fenomeno, il problema con Cousins e l'espansione europea di Silver

Stefano Olivari

22.01.2019 18:15

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Luka Doncic è ancora abbastanza europeo da non rimanere turbato dalle statistiche in questa prima stagione NBA, alle quali si è aggiunta la prima tripla doppia in carriera in una delle partite del Martin Luther King Day: 18 punti, 11 rimbalzi e 100 assist nella sconfitta dei suoi Mavericks contro i Milwaukee Bucks, una di quelle cavalcate di stagione regolare che rivalutano la FIBA Europe Cup. Secondo più giovane di sempre a realizzare una simile performance, ma essendo il primo Markelle Fultz è chiaro che a questi numeri, spesso sparati in maniera acritica, va dato il giusto peso. Certo è che nessuno si aspettava da parte di un diciannovenne europeo, diciamo pure di un diciannovenne bianco, un simile impatto sulla lega. Anche se alla sua età fra nazionale slovena e Real Madrid ha già giocato un numero di partite che contano superiore a quello che molti suoi colleghi NBA giocheranno nell’intera carriera. Del Doncic in versione NBA colpisce la capacità di giocare sotto controllo, evitando di essere ingabbiato nel ruolo di tiratore puro, fra l’altro non essendolo. Il rischio era infatti che si mettesse a giocare soltanto per il suo status, una volta resosi conto di essere in una realtà con poche possibilità di andare ai playoff, ma anni di Europa ai massimi livelli non si cancellano: fra l'altro Carlisle è il tipo di allenatore americano che meglio sa capire chi viene da fuori. Se non si farà male il premio di matricola dell’anno non glielo potrà togliere nessuno, nemmeno gli ottimi Trae Young (Atlanta) e Kevin Knox (New York Knicks). Nello scorso draft Doncic è stato scelto alla chiamata numero 3, Young alla 5, Knox alla 9: la pallacanestro non è una scienza esatta, nemmeno per chi la capisce.

DeMarcus Cousins è un problema. Non per sé stesso, né tantomento per i Golden State Warriors con cui finalmente ha iniziato a giocare a quasi un anno dalla sua ultima apparizione in campo, all’epoca con i Pelicans. Cousins è un problema per la NBA, perché se davvero ha recuperato dall’infortunio al tendine d’Achille sinistro la squadra di Kerr avrà servito un quintetto (facciamo sestetto, contando Iguodala) di All Star tale da rendere quasi inutile lo svolgimento dei playoff, anche se gli equilibri di questa squadra già leggendaria sono sempre sono delicatissimi. L’unica buona notizia per le altre 29 squadre è che a fine stagione Cousins sarà free agent e da sano pretenderà ben più dei 5.337.000 dollari attuali: insomma, difficile che rimanga, anche se non si sa mai, in una squadra che in estate potrebbe perdere anche Kevin Durant che ha sì il contratto 1919-2020 ma anche in mano il suo destino (player option). Per quello che si è visto in questi primi tre mesi di stagione regolare, non esiste nessuna squadra che in una serie al meglio delle sette partite possa reggere il confronto con questi Warriors: forse i Rockets al completo, forse i Celtics se scatterà la scintilla (sia Houston sia Boston sono attualmente quinti nelle rispettive conference), forse i Lakers con il rientro di LeBron e l’anticipo a febbraio del grosso colpo estivo. Troppi forse.

Sono finiti i tempi in cui la NBA poteva proporre nel resto del mondo qualsiasi cosa, e gli sbadigli, pur in un contesto da tutto esaurito, durante la ormai consueta (nona volta) partita di stagione regolare a Londra hanno segnato un punto di svolta. Washington Wizards e Knicks hanno di fatto giocato soltanto nel finale, al di là del loro valore attuale, e difficilmente questo spettacolo verrà roproposto alla O2 Arena. L’orientamento del commissioner Adam Silver è infatti quello di spostare il baraccone a Parigi, già dal 2020, per sfruttare il traino mediatico del finale di carriera di Tony Parker. Di sicuro Silver non vuole illudere nessuno circa la possibilità di un’espansione europea della NBA, come faceva David Stern, con qualche squadra o addirittura una division: la ritiene impossibile, punto. Più facile vedere nel Vecchio Continente qualche altra partita di stagione regolare, possibilmente con un campione di casa (i Clippers di Gallinari a Milano, per dire), oltre a partite prestagionali e a imprecisati tornei che secondo Silver potrebbero essere affiancati a una stagione più leggera rispetto alle attuali 82 partite. Tutto molto vago, teniamoci quindi stretta l’Eurolega. 

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