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La legge di Irving e una rivalità fino al 2020

La legge di Irving e una rivalità fino al 2020

Redazione

27.12.2016 ( Aggiornata il 27.12.2016 08:44 )

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A Natale la NBA cerca sempre di proporre il meglio di se stessa, a livello di personaggi e rivalità fra squadre, ma raramente dopo due mesi di stagione regolare si era vista una partita giocata così alla morte come quella fra Cleveland Cavaliers e Golden State Warriors, vale a dire le finaliste delle ultime due stagioni. Mille motivi di interesse, a partire ovviamente da Kevin Durant, e l'intensità di una garasette di playoff. Con l'uomo decisivo che è stato proprio quello della garasette di giugno, cioè Kyrie Irving: con il canestro della vittoria (109-108) a tre secondi dalla fine nonostante la grande difesa di Klay Thompson, ma soprattutto con 14 punti negli ultimi 8 minuti della gara di Cleveland, che hanno permesso ai Cavs di riagguantare una partita che all'inizio dell'ultimo quarto sembrava persa. Certo è che nella pallacanestro estrema dei playoff soltanto i San Antonio Spurs sembrano appartenere allo stessa pianeta delle squadre di LeBron James e Steph Curry: due stelle che escono dalla partita più attesa della stagione regolare (ex aequo con il 'ritorno' fra una ventina di giorni in California) in maniera molto diversa. James come quello ormai lontano dalla dimensione mediatica di grande perdente e Curry invece come il supertalento che può essere tolto dal gioco con una difesa oltre i confini della fisicità (ma gli arbitraggi NBA sono un capitolo a parte, avendo come stella polare la continuità del gioco e non il rispetto delle regole). Infatti Durant è stato preso proprio per essere la stella anche in questo tipo di partite, in cui Curry può soltanto supportare l'attacco ma certo non avere un tiro pulito in uscita dal blocco o dai blocchi. L'ex Thunder ha risposto alla stragrande, con 36 punti, 15 rimbalzi e tante iniziative, ma non è bastato e la sensazione, in una partita decisa da piccoli dettagli, è che gli Warriors abbiano forse più potenziale inesplorato e più situazioni da mettere a posto, prima fra tutti l'atteggiamento quando il ritmo si abbassa. Pachulia non è Bogut, chiaramente, ma come avveniva nelle scorse stagioni è Draymond Green a dire che tipo di Warriors sono in campo. L'equilibrio fra intensità agonistica e atteggiamenti controproduventi è fragilissimo e anche a Natale lo si è notato. Presto per tirare le somme, ma non per dire che queste due squadre hanno l'età media per dominare la NBA fino al 2020 ed essere i Lakers-Celtics degli adolescenti di oggi.

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