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NCAA alla partenza: la sesta di Duke?

NCAA alla partenza: la sesta di Duke?

Redazione

11.11.2016 ( Aggiornata il 11.11.2016 09:37 )

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La stagione di pallacanestro NCAA che sta per iniziare ha come al solito favorite molto chiare, perché in questo mondo l'attrattività di certi college permette raramente un vero rimescolamento dei valori, anche nell'era in cui i migliori quasi sempre rimangono soltanto un anno prima di andare nella NBA. Abbiamo detto favorite, al plurale, ma sarebbe meglio dire favorita: la Duke di Mike Krzyzewski, santone forse sopravvalutato ma comunque alla 37esima stagione sulla stessa panchina. Un Coach K che lasciata la nazionale americana con un altro oro olimpico adesso è concentrato soltanto sul raggiungimento del sesto titolo nazionale (Final Four a Phoenix, a inizio aprile) suo e di Duke, con Oregon e Kentucky che dagli esperti vengono date poco dietro e i campioni di Villanova che hanno una bella storia (confermato lo stesso gruppo, per ripetere la doppietta di Florida di 10 anni fa) ma non la stessa cilindrata. Duke ha in Italia molti tifosi e negli ultimi anni ha parzialmente cambiato la sua filosofia: da realtà per giocatori di livello medio-alto, da trattenere possibilmente per tutti i quattro anni teorici di college, a squadra ambita dalle superstelle di high school, con tanto di 'one and done': Kyrie Irving l'esempio più luminoso di successo NBA, anche se nella sua stagione al Cameron Indoor Stadium giocò pochissimo. Vediamola, allora, questa nuova Duke. Dato dopo 4 anni l'obbligatorio addio al terzo dei fratelli Plumlee, Marshall, che non è stato scelto al draft ma è riuscito a strappare un contratto ai Knicks, e al supertalento di Brandon Ingram che dopo un anno adesso è ai Lakers, Krzyzewski ha reclutato quasi soltanto gente che vedrà fino al prossimo aprile: su tutti l'ala forte Harry Giles e quella piccola Jayson Tatum, da minorenni campioni del mondo Under 19 con gli USA l'anno scorso in Grecia: in particolare giocò molto bene Giles, che con Tatum condivideva anche la camera. Fra le altre facce nuove è interessante quella del playmaker Frank Jackson, con una storia interessantissima: mormone, per metà afroamericano, figlio di un ex senatore (e adesso lobbista) dello Utah, nei mesi scorsi era incerto se andare subito al college o fare il missionario per qualche anno. Da perdonare l'uso dei termini playmaker, ala piccolo e ala forte, ma il marketing NCAA è anche quello dei buoni sapori di una volta. Fra le facce per così dire vecchie la più identificabile è quella dello junior (cioè terzo anno) Grayson Allen, il ragazzo decisivo nella finale del 2015 contro Wisconsin e che, da bianco, attirava diverse antipatie per il suo giocare da nero attaccando spesso il ferro, ben prima degli sgambetti (fatti da lui ad altri) della scorsa stagione che lo hanno messo nel mirino di pubblico e arbitri. Per certi versi Allen è il giocatore di Duke che molti amano odiare, anche se le storiche vette di Christian Laettner rimangono irraggiungibili. Comunque Coach K e il suo staff (di primissimo livello: il predestinato Jeff Capel, Nate James e Jon Scheyer, tutti suoi ex fedelissimi giocatori) hanno a disposizione davvero tanto talento, come raramente se ne è visto tutto insieme a Duke. I dieci titoli di John Wooden con UCLA sono irraggiungibili, anche per il diverso contesto, ma ma il sesto è più che possibile già quest'anno. I discorsi sul significato della NCAA oggi, pur doverosi, sono rimandati agli interminabili mesi senza questo tipo di pallacanestro, che davvero al contrario della NBA arriva in ogni parte d'America (non solo con la Division I, che comunque ha 351 squadre), affascinante e pieno di paradossi: primo fra tutti che i protagonisti dello spettacolo, cioè i giocatori sono gli unici a non essere (ufficialmente) pagati.

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