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Il futuro di Ress e il passato di Jordan (Guerin Basket)

Il futuro di Ress e il passato di Jordan (Guerin Basket)

Redazione

23.02.2016 ( Aggiornata il 23.02.2016 18:42 )

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Baruffe Chioggiotte, ma pure Veneziane. Tomas Ress, giocatore della Reyer, chiamato a commentare l’esonero di Recalcati, ha avuto parole non proprio positive nei confronti dell’ex coach. Dopo essersi detto dispiaciuto, Ress ha aggiunto che la società qualcosa doveva pur fare ma che non potevano essere i 12 giocatori a pagare. Poi ha rimproverato al coach di aver avuto sempre lo stesso atteggiamento e lo stesso piano di lavoro, a prescindere dai risultati, positivi o negativi, che la squadra aveva, e di aver provato molta rabbia per questo auspicando, ora, un cambio di pagina. Non proprio le parole che ti aspetti da un giocatore di spicco, in particolar modo quando si commenta l’esonero di un coach esperto e con una lunga carriera alle spalle. Chi guarda le partite poi non può non notare che in campo, solitamente, ci vanno i giocatori e sono sempre i giocatori a tirare a canestro, a gestire i palloni, a fare passi, perdere palla e spesso a palleggiarsi sui piedi. E proprio Ress alle final Eight non ha propriamente brillato (zero punti e zero rimbalzi in 20 minuti di gioco). Dire poi semplicemente che è più facile mandare via un allenatore che dodici giocatori, avallando la scelta societaria, non suona propriamente come una assunzione di responsabilità, ma, al contrario come una dichiarazione quantomeno furba. Chiamato a commentare la cosa, Recalcati ha dichiarato: “Ress? Mente sapendo di mentire. Ma lo capisco: avrà pensato al suo futuro … è a fine carriera, a Venezia è vicino casa, avrà fatto i suoi calcoli”. Amen. Auguri MJ. Il 17 febbraio è stato il compleanno di Michael Jordan, più che un atleta una vera e propria icona del basket NBA, conosciuto e riconoscibile in tutto il mondo e vero re Mida tra gli sportivi. Il suo palmares parla di due Olimpiadi, sei titoli NBA (tre consecutivi per due volte), un titolo NCAA e un titolo ai giochi Panamericani, più una serie letteralmente infinita di premi, record e riconoscimenti personali. I suoi numeri e i suoi record (tra l’altro media punti per partita più alta dell’NBA) avrebbero potuto essere ancora migliori se la parte finale della sua carriera non fosse stata così discontinua. Ritiratosi una prima volta nel ’93 per giocare a baseball e tornato nel 1995 a Chicago, si è nuovamente ritirato nel 1998 (dopo altri tre titoli vinti), per poi tornare in campo con Wizards nel 2001 e per due stagioni (ma non se ne sentiva il bisogno) prima del ritiro definitivo. Fuori del campo Jordan è una vera e propria multinazionale: testimonial di molte aziende (tra le altre Gatorade e McDonald's) ha legato la sua immagine alla Nike, che ha creato e crea ancora diverse linee sportive con il suo marchio. Al cinema è stato protagonista del film Space Jam ed è sulle copertine di diversi giochi di basket per console. Ad inizio carriera, nel 1985, Jordan venne in Italia con la Nike per un tour promozionale e giocò una partita con la maglia della Stefanel di Trieste che affrontava la Juve Caserta. Gli appassionati presenti ricordano ancora la fantastica schiacciata con cui il giocatore distrusse il tabellone, mentre Generali e Lopez, che si trovavano proprio sotto lì sotto, ricordano la notte passata in ospedale a farsi ricucire dai tagli provocati dai cristalli caduti. Nel 2004, invece, Jordan resistette alle sirene di Milano, che tramite Giorgio Armani tentò di mettere sotto contratto il giocatore. Michael Jordan dalla NBA ha guadagnato cifre di denaro inimmaginabili, seconde solo a quelle che la NBA ha guadagnato usando il suo nome. I più cattivi, però, dicono che la maggior parte di questi soldi Jordan li abbia spesi per le scommesse. Icona sì, ma umana. Auguri Mão Santa. In tema di grandi giocatori, il 16 febbraio è stato il compleanno di Oscar Daniel Bezerra Schmidht, per tutti, semplicemente, Oscar. Nato in Brasile nel 1958, ala di 2 metri e 4 centimetri, Oscar ha avuto una lunghissima carriera, giocata tra il Brasile, l’Italia e Spagna. Realizzatore dalle mani magiche, venne soprannominato in patria “La Mano Santa”, e detiene a oggi il record mondiale di punti segnati (49.737). In Italia giocò per 11 anni tra Caserta e Pavia, ma a fare la storia sono stati gli otto anni a Caserta. Uomo particolarmente socievole e comunicativo, Oscar arrivò alla Juve nel 1982 e finì per fare innamorare del basket una intera città. Erano gli anni in cui la pallacanestro si stava avviando verso il suo periodo d’oro, in cui le squadre erano una giusta miscela di ottimi giocatori provenienti dal vivaio e stranieri che sapevano giocare a basket. A Caserta Oscar sembrò trovare il suo ambiente e accese una magia che durò 8 anni, durante i quali entrò nel cuore della gente. Non si parla di titoli vinti, ma del modo di fare di un campione che non separava campo e vita privata e cercava sempre di ricambiare l’affetto ricevuto. A Caserta, ancora oggi, la gente parla di Oscar e ricorda aneddoti, imprese sportive, modi di dire. È come se il giocatore fosse entrato nelle famiglie di tutti, anche di quelli che non lo hanno mai conosciuto, o addirittura non lo hanno mai visto giocare. Oscar ha vinto molto con la sua nazionale, molto poco a livello di club, almeno in Europa. Sul suo giudizio sicuramente pesa il non aver tentato la carta NBA e non aver accettato i dollari che gli offrivano i top team spagnoli. Probabilmente non per mancanza di ambizione o di voglia di migliorarsi – come il suo contemporaneo Petrovic, era l’incubo dei guardiani delle palestre dove ha giocato, per le interminabili sessioni di tiro che concludevano ogni suo allenamento – ma per il desiderio di anteporre la tranquillità famigliare ai risultati sportivi e di fare scelte dettate più dal cuore che dal conto in banca. Negli ultimi anni Oscar ha avuto diversi problemi di salute: operato due volte al cervello per la rimozione prima di un tumore benigno e poi di uno maligno, ha recentemente dichiarato di esserne guarito. Nel 2013 è stato introdotto nella Naismith Memorial Basketball Hall of Fame. A presentarlo un'altra “Mano Santa”, stavolta made in USA: Lary Bird. Non proprio uno qualunque. Strascichi di Coppa Italia. Cinciarini commentando a caldo la Coppa Italia appena conquistata ha ricordato lo scudetto 2015, definendolo come “Rubato da Sassari”. Non l’hanno presa benissimo sull’Isola, dove i tifosi hanno immediatamente replicato al post su facebook del loro presidente Sardara: “Scopro solo ora che probabilmente siamo indagati per furto… non ho parole” e creato l’hashtag #bisognasaperperdere subito trend topic su Twitter. Si è sentito chiamato in causa anche l’ex coach di Sassari, Meo Sacchetti, che di vittorie e sconfitte ne ha masticata più di qualcuna: “Cinciarini doveva ricordarsi che lo scorso anno ha avuto due volte la palla in mano per il tiro per vincere lo scudetto e non ci è riuscito. Alla fine sono arrivate le scuse del giocatore, subito accettate da Sardara, che ha immediatamente fatto i complimenti a Cinciarini per la Coppa appena conquistata. La cosa è finita così, ma hanno ragione i tifosi #bisognasaperperdere (e vincere): la crescita di un giocatore passa anche da lì. Multe o minacce. Il Resto del Carlino riporta che la dirigenza della Virtus Bologna avrebbe comunicato ai suoi giocatori che non pagherà loro le due ultime mensilità dell’anno in caso di retrocessione. Si può fare? Pare di si, ma non è questo il punto. Si parla di professionisti, di gente che con la pallacanestro ci vive, più o meno bene. Lontani dalle grandi cifre del passato, i giocatori devono giocare meglio per evitare la decurtazione del salario. Motivazioni? Più che altro minacce e il trasferimento di responsabilità dalla dirigenza a chi va in campo. Poca o nessuna fiducia, motivata dalla mancanza di attaccamento alla maglia di molti giocatori. Reale probabilmente, ma dovuta al fatto che mediamente un giocatore straniero che milita in serie A, a fine stagione di maglie diverse ne ha collezionate almeno un paio. Inamovibili, invece, sono i giocatori italiani, alcuni anche dalla panchina: dei cinque sei italiani inseriti nel roster a inizio anno, solo un paio (nel migliore dei casi) vedono il campo con continuità, gli altri fanno un gran sventolare di asciugamani per tutta la partita e annuiscono durante i timeout. Difficile fidarsi di una truppa del genere, anche per il migliore dei generali, perché nel gruppo degli inaffidabili c’è anche l’allenatore, il primo a saltare quando le cose vanno male, e comunque sempre con la spada di Damocle di un possibile esonero sulla testa. Non bastasse tutto questo, va anche aggiunto che di solito presidenti e general manager hanno il vizio di demolire e rifare le squadre ogni anno, a prescindere dai risultati ottenuti. Dunque? Se scendiamo non ti pago e “bona lè”.

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