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Giustizia per la Sharapova

Giustizia per la Sharapova

Redazione

09.06.2016 ( Aggiornata il 09.06.2016 09:25 )

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Le punizioni esemplari raramente sono punizioni giuste e i due anni di stop inflitti a Maria Sharapova per il caso Meldonium sembrano rientrare in questo discorso. Troppo forte l'immagine della russa, troppo forte la tentazione da parte dell'ITF di fare la parte della federazione virtuosa dopo anni in cui ha preferito girare la faccia dall'altra parte mentre tanti giocatori scomparivano per lunghi periodi, per infortuni uno più improbabile dell'altro. Al di là del non trascurabile dettaglio che la ventinovenne ex numero 1 del mondo sia stata condannata da un tribunale emanazione dell'ITF stessa e che tutto possa essere annullato dal TAS di Losanna, è curioso che a giocare a suo sfavore sia stata la tranquilla ammissione di avere assunto questo farmaco durante gli ultimi Australian Open, non sapendo che da pochi giorni fosse nella lista nera. Di più: ha ammesso di assumerlo (il farmaco si chiama Mildronate) dal 2006 per una serie di problemi extrasportivi, ma sotto prescrizione medica. Un passo della sentenza dice chiaramente che la violazione della Sharapova non è stata volontaria: "È responsabile per non avere controllato che l'uso del medicinale fosse permesso". In concreto, visto che la squalifica è stata retrodata al 26 gennaio, la Sharapova dovrebbe poter tornare in campo per questa data nel 2018. Significativo il supporto degli sponsor, in particolare la Nike, di solito pronti a scappare di fronte a casi di questo tipo sfruttando clausole ben precise, per quanto ipocrite. Le speranze nel tribunale di Losanna sono fondate, perché per molti sport ed in particolare per il tennis il TAS è sempre stato uno scontificio: vengono in mente Troicki e Cilic, per citare due giocatori di nome anche se non quei top player che il popolo (ma anche alcuni altri top player) vorrebbe messi alla gogna. C'è poi il solito discorso russo, anche se la Sharapova vive negli Stati Uniti ormai da vent'anni: il meldonium è usato soprattutto nell'Est Europa (quasi trenta anni fa veniva prodotto in Lettonia, quando c'era ancora l'URSS di Gorbaciov) ed è in pratica sconosciuto fuori, quindi è evidente che inserirlo nelle sostanze dopanti significa andare in una direzione geopolitica ben precisa. Almeno 300 atleti dell'Est Europa sono infatti risultati positivi al Meldonium, la maggior parte seguita da medici di federazione senza l'attenuante sharapoviana dell'ignoranza, rappresentando un doping diventato doping quasi per decreto. Prescritto per diabete, problemi di cuore e cefalee, nel corso del tempo il Mildronate è entrato nello sport per i suoi effetti sul sistema nervoso e anche per quelli per così dire coprenti nei confronti di altre sostanze tipo EPO: l'inserimento nella lista delle sostanze proibite ci sta quindi tutta. Ma tornando alla Sharapova, bisogna anche entrare nel dettaglio della sua vicenda. Lei ha spiegato di avere assunto 500 milligrammi del farmaco prima di ognuno dei suoi cinque match agli Australian Open, torneo terminato nei quarti di finale con la solita sconfitta contro Serena Williams. Il test però non è stato fatto a Melbourne, ma qualche giorno dopo a sorpresa a Mosca. Non le è bastato produrre un faldone di analisi e prescrizioni di un medico di Mosca, Anatoly Skalny, che la seguiva dall'adolescenza, per rinforzare il suo sistema immunitario. Dopo la fine del suo rapporto con Skalny, nel 2012, la Sharapova ha continuato ad usare i medicinali da lui prescritti (anche Magnerot e Riboxine), sostenendo che il Mildronate la proteggesse anche da problemi cardiaci. Un caso di medicina fai-da-te, quindi, con il dolo da dimostrare e con qualcuno che ha individuato nel padre Yuri principale colpevole. Colpevole ma non troppo, perché è vero che la WADA ha aggiunto il Mildronate alla sua lista lo scorso settembre (con effetti dal primo gennaio 2016), ma nella mail dell'ITF ai suoi associati non si faceva menzione di cambiamenti. Si elencavano soltanto le sostanze proibite: ignoranza quindi sì, ma giustificata. Va poi detto che gli interessi della Sharapova sono gestiti dalla multinazionale IMG, che è nel tennis di alto livello fin dai tempi di Borg e dispone di centinaia di consulenti, anche medici, di ogni tipo. A una tennista non si può chiedere di trasformarsi in un chimico, ma chi la segue e sulla sua attività (nel 2015 un fatturato sui 29,7 milioni di dollari) campa avrebbe dovuto essere più sveglio e preparato. La colpa della Sharapova è ben precisa: dopo la fine del rapporto con Skalny non poteva e non doveva assumere medicinali di testa sua (o del padre, o degli agenti, o di chissà chi) senza verificarne la possibilità di uso nello sport, per questo parte del suo racconto-autodifesa non è credibile. Questo non toglie che i due anni di stop rientrino pienamente in quel clima anti-russo che dalla politica si è trasferito allo sport. È un caso che va al di là del solito derby innocentisti-colpevolisti, un caso che riguarda fondamentalmente il metro di giudizio.

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