Giornale di critica e di politica sportiva fondato nel 1912

Il Manchester City non è stato costruito in un giorno

Redazione

11.12.2014 ( Aggiornata il 11.12.2014 11:43 )

  • Link copiato

L'eliminazione della Roma dalla Champions League porterà lo scudetto: lo scriviamo subito così prendiamo qualche click aggratis (sempre meglio che farlo con il piccolo Loris) e diamo ragione a illustri colleghi che sostengono che il giornalismo non debba informare, ma dare emozioni. Superare la Juventus in Italia è possibile, l'uscita dalla competizione più importante del calcio mondiale è invece sicura. Anche se non disonorevole: chi è campione della mitica Bundesliga e della mitica Premier League non lo è per caso. Certo è che per come era iniziato il girone questa è per la Roma una delusione enorme, oltre che un danno finanziario da minimo 15 milioni di euro. Non si può nemmeno accusare Rudi Garcia di avere sbagliato tattica, puntando allo zero a zero e subendo troppo il Manchester City. Anzi, la formazione era a connotazione offensiva, pur zavorrata dal peggior Totti degli ultimi tempi. Fino al gol di Nasri, quindi all'ora di gioco, i giallorossi non avevano certo dominato ma avevano avuto un superiore possesso palla (per andare agli ottavi bastava un pareggio senza gol) e anche le migliori situazioni per segnare (Holebas, Gervinho, Pjanic, contro Milner). Poi l'incertezza di Keita e quella di De Sanctis, unite alla prodezza del francese, hanno fatto girare tutto. Pensare che De Rossi avrebbe potuto dare chissà cosa, dopo l'ultima settimana di intercettazioni pubblicate, è possibile soltanto al bar. È il calcio, inutile farci troppi ragionamenti attorno, mentre è utile confrontare la qualità media (parlando proprio di figurine) delle due rose visto che il City non ha certo impressionato come qualità di gioco. Quella del City è sì di livello superiore, ma è stata costruita negli anni con indebitamento, prestiti di soci, sponsorizzazioni amiche se non tarocche. La multa UEFA di 20 milioni di euro, in omaggio al fair play finanziario, è poco più di un buffetto per un club come quello dei Mansour, che nella scorsa stagione ha superato i 440 milioni di euro di fatturato. E che adesso ha attivato un meccanismo per cui con una buona gestione ordinaria i conti dovrebbero tornare in equilibrio. Cosa vogliamo dire? Che il fair play finanziario cristallizza i rapporti di forza esistenti, impedendo a realtà modeste (quale era il City nel 2008) anche soltanto di sognare. Non che Pallotta abbia intenzione di mettere nel prossimo calciomercato 200 milioni del suo patrimonio personale, ma il punto è che non lo potrebbe in ogni caso fare. Quelli che nella realtà italiana sono considerati i grandi club con tifo non geograficamente determinato (i soliti tre, insomma), sono diventati tali non per la loro naturale simpatia ma perché i loro proprietari nel corso dei decenni li hanno riempiti di campioni in spregio a qualsiasi logica economica. Il City sta facendo questo dal 2008, cioè da quando l'ex primo ministro thailandese  (non dovremmo stupirci...) Shinawatra vendette all'Abu Dhabi United Group. Le operazioni strampalate sono state nel tempo messe meglio a fuoco e così prima Hughes, poi Mancini e spoprattutto Pellegrini si sono trovati a disposizione uno squadrone. Parlando di chi è sceso in campo all'Olimpico: Zabaleta è lì dal 2008, David Silva, Kolarov e Milner dal 2010, Clichy, Nasri e Dzeko dal 2011, Demichelis, Fernandinho, Jesus Navas e Jovetic dal 2013, Mangala e Fernando dal 2014. Solo Hart ha frequentato il City in un'era pre-sceicchi... Senza contare agli assenti Aguero (2011), Yaya Touré (2010), Kompany (2008), eccetera. Per il salto di qualità internazionale bisogna spendere tanti soldi e per tanti anni di seguito, anche se progetti intelligenti come quello dell'Atletico Madrid (che da quest'anno è tornato a condurre un mercato in rosso, ma con i soldi Champions in mano) sono sempre possibili. Twitter @StefanoOlivari

Condividi

  • Link copiato

Commenti

Leggi Guerin Sportivo
su tutti i tuoi dispositivi