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Redazione

19.03.2014 ( Aggiornata il 19.03.2014 10:50 )

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Nel silenzio imbarazzato e imbarazzante del 90 per 100 dei media sportivi sono state rese note le motivazioni con cui la sesta sezione della corte d'Appello di Napoli ha condannato, per associazione per delinquere, Luciano Moggi, Pierluigi Pairetto e Innocenzo Mazzini. Nelle loro figure, va ricordato, di direttore generale della Juventus, di designatore arbitrale (il processo a Bergamo andrà invece rifatto) e di vicepresidente federale. Visto che si tratta dell'ultimo possibile giudizio di merito, Calciopoli (o meglio, 'questa' Calciopoli) può dirsi chiusa con buona pace di chi invitava nel 2006 ad 'aspettare la giustizia ordinaria'. Certo, si può vivere senza calcio, ma cancellare la serie A per 8 anni non era sembrata già da subito una buona idea. Nelle oltre 200 pagine di motivazioni si evidenzia il fatto che Moggi non fosse l'unico colpevole, ma di certo il leader di un gruppo di potere che condizionava tutto il calcio italiano di vertice non truccando le singole partite (su questo è sempre stata basata la linea difensiva di Moggi, quando invece l'accusa mai è stata questa) ma operando a monte sul sistema arbitrale, condizionando designazioni, sorteggi e soprattutto carriere. In questo quadro, aggiungiamo noi, non c'era nemmeno bisogno di telefonate che pure in certi casi ci sono state: con o senza sim svizzere. Il non detto di tutta la vicenda, l'abbiamo già scritto ma è giusto ricordarlo, è che un 'sistema' così articolato non si è creato il primo luglio 2004 e non è scomparso il 30 giugno 2005, quindi fin dall'inizio è apparso evidente il tentativo di circoscrivere le responsabilità sportive e penali ad un'unica stagione. Davvero curioso, come se il principale problema fosse quello di far fuori Moggi e i suoi sodali, diventati ormai troppo potenti non solo nei confronti di un umile guardalinee, senza fare troppi danni alla Juventus e agli Agnelli, le cui dinamiche familiari sono state in questa storie ben più importanti di quanto sia accaduto nello spogliatoio di Paparesta a Reggio Calabria. Un paio di mesi fa Moggi ha spiegato al Guerino la sua linea, sintetizzabile in un 'Dovevamo difenderci dallo strapotere mediatico e politico del Milan' e in un 'Quella Juventus era così forte da non avere bisogno di aiuti'. Vere tutte e due le situazioni, così come il fatto che senza Calciopoli l'Inter sarebbe a vita arrivata seconda o terza prendendosela con l'allenatore di turno. Proprio per questo Moggi dovrebbe prendersela soprattutto con sé stesso, o al limite con i suoi ex datori di lavoro. Ma certi ambienti non possono essere toccati, se non per caute allusioni, nemmeno da un uomo tuttora potente come lui. Conclusione? Questo Moggi condannato, in modo che i buoni della situazione possano cantare vittoria e i cattivi sostenere che pulizia è stata fatta, fa comodo un po' a tutti. Aspettiamo il libro in cui dovrebbe-potrebbe raccontare tutto, ma non ci speriamo troppo.

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