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Redazione

30.01.2014 ( Aggiornata il 30.01.2014 11:34 )

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Il fatturato è ormai l'alibi fisso dei dirigenti italiani (e degli allenatori) per giustificare i propri fallimenti nazionali e internazionali, Per questo il recente rapporto 'Football Money League 2014' di Deloitte andrebbe confrontato con i risultati sportivi, tanto per confermare o smentire le filastrocche che sentiamo ogni giorno. Come al solito domina il Real Madrid, con 518,9 milioni annuali, davanti al Barcellona con 482,6. Successi come al solito dopati dalla possibilità di contrattazione autonoma dei diritti televisivi, cosa ad esempio negata alle inglesi o alle italiane. Terzo il Bayern Monaco con 431,2 milioni, in una stagione resa commercialmente straordinaria anche dalla Champions, poi al quarto il Manchester United che è la prima delle inglesi, il Paris Saint-Germain, eccetera. Prima italiana la Juventus, al nono posto con 272,4, performance di poco superiore a quella del Milan (263,5) e di molto a quelle di Inter (168,8), Roma (124,4) e Napoli (116,4). Prima di prendere acriticamente una valanga di numeri (la classifica si può trovare ovunque sul web), qualche precisazione. La buona gestione si nota soprattutto dai ricavi commerciali, perché se i diritti televisivi e i ricavi da stadio dipendono da situazioni che mutano poco nei decenni (il Real Madrid avrà sempre più tifosi del Levante) non altrettanto si può dire dell'immagine e dell'appeal di un club che invece può esplodere in tempi relativamente brevi. Si pensi a quanto fosse conosciuto nel mondo il Parma degli anni Novanta, al di là del fatto che molti dei soldi di Tanzi fossero finti (i bonifici ad Asprilla e Thuram erano comunque veri). Il Real Madrid ha ricavi commerciali per 211 milioni di euro, cifra che lo metterebbe già da sola al tredicesimo (!) posto nella classifica generale. Il Bayern addirittura per 237, con tendenza clamorosa (quasi il 20% su base annua) alla crescita. Poi c'è la doverosa parentesi sul PSG, che ha ricavi commerciali per 255 milioni ma principalmente con operazioni dovute a quelle che in Borsa si definirebbero 'parti correlate'. Il solo ente del turismo del Qatar versa al club parigino 150 milioni l'anno, quindi ben si capisce come tutto sia una finzione tollerata dall'Uefa. Poi magari a forza di comprare campioni fra 10 anni un bambino paraguayano o thailandese inizierà a tifare per il PSG, ma al momento siamo al maquillage contabile. Altra osservazione: le cifre riguardano la stagione 2012-13, quindi vanno necessariamente incrociate con i risultati sportivi. Soprattutto per chi, come le italiane, come ricavi commerciali indipendenti dal responso del campo è ancora indietro. Osservazione anti-disfattista: nelle prime 30 in classifica ci sono 8 inglesi ma ben 6 italiane (la sesta è la Lazio), quindi il livello medio della serie A è tutt'altro che da buttare. E adesso facciamo un confronto fra le prime 16 per fatturato e le 16 approdate negli ottavi di finale di questa Champions. Fra chi si giocherà il trofeo per club più importante del mondo (con tutto il rispetto per il Mondiale per club vero e proprio, seguito soltanto nei paesi coinvolti) solo Bayer Leverkusen, Atletico Madrid, Olympiacos e Zenit non fanno parte dell'elite delle 16 più ricche. Guardandola all'opposto, delle 16 più ricche solo Juventus, Liverpool, Tottenham e Inter non sono agli ottavi di Champions (Liverpool, Tottenham e Inter addirittura nemmeno si erano qualificate per la prima fase, quindi fra le top 16 in campo solo la Juventus non ce l'ha fatta a passare). 12 su 16, quindi. Una coincidenza che fa impressione, una tendenza impossibile da invertire se non con meccanismi 'americani' (draft, salary cap), comunque di difficile applicazione europea, per rimescolare le carte.

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