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Il calcio italiano deve risollevarsi

Redazione

23.09.2013 ( Aggiornata il 23.09.2013 10:17 )

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A differenza dei tanti fatti di cronaca che attraversano il nostro quotidiano senza lasciare tracce, il recupero della Costa Concordia resterà a lungo negli occhi degli italiani, metafora troppo potente per un Paese alla ricerca del riscatto. Il mostro inabissatosi il 13 gennaio 2012 e raddrizzato pochi giorni fa da una squadra di 11 uomini (ah, i numeri), si porta dietro un significato ben più profondo. Un messaggio anche per il calcio italiano, che da anni insegue una disperata ripartenza. Alcuni numeri utili alla riflessione. Gli spettatori presenti negli stadi di Serie A, 20 anni fa, erano 34mila a partita. L’ultimo campionato sono stati meno di 24mila, diecimila biglietti di differenza, ma soprattutto un risultato al di sotto della soglia simbolica dei 9 milioni complessivi, colonne d’Ercole che non superiamo più da tre stagioni. Del resto, nel disinteresse quasi generale, nel 2006-07 la Championship, seconda categoria inglese, arrivò quasi a superare al botteghino la nostra Serie A, ovviamente gravata dall’assenza di Juventus e Napoli. Qui, per fortuna, non ci sono morti veri come al Giglio, ma scogli e fondali paludosi dai quali non riusciamo più a liberarci.Altri, rapidi numeri. Gli stadi italiani vengono riempiti per appena il 52% della capienza. Che, detto in altro modo, vuole dire che sono vuoti per metà, mentre gli equivalenti inglesi viaggiano con un venduto del 95% e quelli tedeschi - bellissimi, moderni e funzionali, beati loro - al 92%. Eppure anche a Londra o a Monaco ci sono partite trasmesse in tv ogni week-end, addirittura tutte come da noi nel secondo caso, semmai il tifoso da stadio continua a godere di un rispetto e di un trattamento sconosciuto alle nostre latitudini. Non è un potenziale delinquente, ma una reale risorsa. Non basta l’eccellenza dello Juventus Stadium e il futuro Friuli privato ad alleggerire il ruolo di fanalino di coda in Europa, con quasi uno stadio su due costruito quando l’Italia era ancora un regno e non una repubblica. Ma siamo caduti, anzi precipitati, anche nei numeri dei bilanci. Nel 1993 il Milan era primo al mondo per fatturato, oggi è ottavo, e comunque resta il primo dei nostri club. Spagnoli e inglesi hanno raddoppiato i ricavi, noi siamo suppergiù fermi ad allora. Molte società italiane, inutile essere ipocriti, sopravvivono grazie alle plusvalenze, gonfiate come non mai, ma indispensabili per evitare ricapitalizzazioni, tenuto conto che i costi non sono nel frattempo diminuiti. Ecco perché la barca recuperata al Giglio diventa un simbolo fisico, quasi plastico, per noi del pallone. Purtroppo non abbiamo un Nicholas Sloane alle porte, il nuovo eroe sudafricano presto adottato dalla stampa, bensì tanti, piccolissimi Schettino, gente che da anni litiga in Lega o in Federazione mentre la montagna dei problemi aumenta. Gli scogli da cui uscire sono altri: il merchandising quasi inesistente, ricoperto dalla paccotiglia contraffatta che appare nelle bancarelle. E così le sponsorizzazioni. La Serie A introita annualmente 84 milioni di euro per le scritte sulle maglie, la metà della Premier (168) e al di sotto della Germania (120), nuovo modello di riferimento. Stando al Report calcio 2013, le sponsorizzazioni sono arrivate a 344 milioni due stagioni fa, voce in crescita, non sufficiente tuttavia a riequilibrare il peso sproporzionato dei diritti tv nelle entrate. Sempre nel 1993, fotografia di un ventennio condotto in retromarcia, il sistema reggeva 128 società professionistiche, oggi scese a 111. Avevamo piazzato 14 squadre nelle finali delle Coppe europee nei cinque anni precedenti, stavolta solamente una (l’Inter di Mourinho nel 2010). E per concludere, potevamo vantare 11 elementi sul podio del Pallone d’oro nei cinque anni prima, a fronte dello zero assoluto dell’ultimo lustro. Eravamo anche nettamente in testa al ranking Uefa, ritrovandoci oggi al quarto posto, mentre fuori dalla pizzeria già si affacciano Francia e Portogallo. Eppure andavano ancora in campo 8 italiani su 11, non tutti stranieri come adesso, con meno di sei connazionali in squadra nelle partite di Serie A. Ancora 70 nuovi arrivi dall'estero nell’estate, molti per aiutare più i commercialisti che non gli allenatori. E qui ci fermiamo. Fatto sta che Gigi Di Biagio, Ct dell’Under 21, deve pescare i titolari tra Serie B e qualche ex ragazzo dalla Lega Pro, mentre Sacchi urla alla luna la scomparsa del futuro. Ma se è vero che anche il calcio cerca, al pari del Paese, simboli da cui ripartire, ecco che le corde per trainare su il pallone sono i giovani, l’attenzione ai costi, la capacità di sviluppare nuovi fonti di entrata, specie ora che i diritti tv rischiano di calare, soprattutto impianti moderni. Chissà che dietro quell’immagine bellissima della nave sottratta alla potenza del mare, non ci sia uno scatto di orgoglio. Ne abbiamo un grande, grandissimo bisogno. @matteomarani

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