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Redazione

30.04.2013 ( Aggiornata il 30.04.2013 12:11 )

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La carriera calcistica di Javier Zanetti è probabilmente finita, la vita no. La rottura del tendine d'Achille a Palermo, che come quasi tutti gli infortuni gravi del calcio è avvenuta senza poter incolpare qualcuno o qualcosa, è un segnale forse definitivo che il corpo ha lanciato al quarantenne campione argentino. A lui, per stile di vita e assenza di problemi fisici nell'arco della carriera (anche per lo stile di vita, oltre che per motivi naturali), il segnale è arrivato tardi mentre per molti altri, fra un caipirinha e una velina, i tempi sono di solito abbreviati. Dormono due ore per notte e pensano che l'osteopata abbia la risposta per tutto... Il caso Zanetti, proprio per la sua rarità (nessuno è abituato a considerarlo infortunato), induce però a riflettere sulle carriere interminabili che stanno diventando una caratteristica del calcio, dopo esserlo stato anche di altri sport (la neo-ministro Idem era in gara a Londra a 48 anni). Dal punto di vista dell'atleta, campione o meno che sia, il vantaggio è evidente: ti giochi la vita in campo invece che fra i mille compromessi della quotidianità, vieni riconosciuto, sei qualcuno, di fatto è impossibile criticarti e anche i tuoi nemici alla fine ti trovano simpatico. Basti pensare alla beatificazione di Totti, anche da parte di chi in Nazionale voleva al suo posto Doni, ma anche all'effetto Connors: in pratica il non arrendersi all'età porta già di suo simpatia. Questo al di là dei soldi, che comunque non sono marginali. Chiari i vantaggi anche per i club, parlando di sport di squadra, o delle federazioni in quelli individuali: il 'vecchio' è riconoscibile, la quantità di anni di esposizione mediatica lo rende trasversale e conosciuto non solo in ambito sportivo, in più è un parafulmini perfetto. Quanti tifosi interisti abbiamo sentito affermare che i guai nerazzurri di quest'anno dipendono da Zanetti e non da Moratti e Branca, cioè fino a prova contraria quelli che prendono le decisioni? Tanti, troppi. Come se fosse una colpa a 40 anni essere ancora molto più forte di Jonathan e Schelotto. Non parliamo poi dei media: il vecchio campione fa sempre titolo, anche quando non dice niente (e, con tutto il rispetto, non ci ricordiamo un'intervista memorabile di Zanetti), già con una foto e uno slogan messogli in bocca ad arte riesce a sopperire alla mancanza di idee dei giornalisti. Il tifoso, infine, ha a seconda del momento il suo mito o il suo capro espiatorio, comunque una figura forte a cui fare riferimento. Il vecchio campione è quindi utile a tutti, tranne forse che a sé stesso. Rimandando all'infinito l'entrata nel mondo reale alla fine si rischia di non entrarci più. Qualcuno, come probabilmente Zanetti, è così ricco da non avere la necessità finanziaria di entrarvi, ma di solito funziona diversamente. Conclusione? A prescindere dalla fede religiosa, quando c'è, a volte gli infortuni capitano al momento giusto.

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