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Redazione

25.01.2013 ( Aggiornata il 25.01.2013 10:18 )

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Gianni Agnelli è stato trasformato in padre della Patria solo dal servilismo giornalistico, che dura più a lungo (almeno dieci anni, come si sta vedendo) della vita biologica del padrone da servire. Invece era solo un imprenditore, anzi nemmeno quello perché aveva ereditato dal nonno fondatore, che ha fatto gli interessi della Fiat e del suo gruppo spesso ai danni dell'Italia. L'assenza di una rete ferroviaria decente al di fuori di quella che collega poche grandi città, il monopolio della produzione di auto in Italia sancito dall'incredibile regalo Alfa Romeo, contributi pubblici a pioggia (dagli incentivi alla rottamazione) e tante altre situazioni che si stanno concludendo nel modo che tutti possono vedere (in Polonia, in Serbia, eccetera), rendono difficile rimpiangere l'industriale e il finanziere. Ma come presidente e para-presidente (nel ventennio di Boniperti) della Juventus Gianni Agnelli va invece davvero rimpianto e non certo per le tante vittorie, che c'erano state prima di lui (si pensi all'era Carcano, con presidente suo padre Edoardo) e che ci sarebbero state dopo (dal 1994 ai giorni nostri). Ma partiamo proprio dalle vittorie. Sotto la sua presidenza, dal 1947 al 1954, qualche anno dopo una guerra in cui non si era imboscato nonostante le possibilità di farlo (titolo di merito che non viene mai sottolineato, nemmeno dagli agiografi), la Juventus torna grande con campioni che riescono a tenere botta con il Grande Torino. E dopo la tragedia di Superga arrivano anche due scudetti, che in era per Coppa Campioni rappresentano il massimo vincibile (con tutto il rispetto per la Coppa Latina e altri tornei). Merito di Superga? Anche, ma vale per tutte le avversarie di un Torino che senza quello schianto avrebbe dominato almeno fino a metà degli anni Cinquanta. Passa poi la mano al fratello Umberto, in una eterna staffetta sfida giocata su vari fronti e che attraverso i discendenti dura ancora oggi. Umberto Agnelli costruisce una squadra ancora più forte, quella di Sivori e Charles, che il fratello apprezza come tifoso. Negli anni Sessanta rimane alla finestra, dal punto di vista juventino, preso dalla Fiat che Valletta sta finendo di gestire: Vittore Catella, un politico (Partito Liberale) vicino agli Agnelli, è poco più di un tifoso vip e può fare poco (vince comunque uno scudetto) contro le Inter e Milan dell'epoca. Ma è con Giampiero Boniperti nel 1970 che nasce l'Agnelli juventino che rimarrà nella storia. In un calcio autarchico (le frontiere erano state chiuse nel 1966 dopo il fallimento al Mondiale inglese) il mandato che Agnelli dà a Boniperti è chiaro: Anastasi e Bettega sono già della casa, adesso bisogna comprare i migliori giocatori italiani, soprattutto quelli giovani. Arrivano così i campioni che tutti ricordano, da Zoff (preso a 31 anni dal Napoli) a Cabrini (a 19 dall'Atalanta), da Causio (a 21 dal Palermo) a Tardelli (a 21 dal Como), da Scirea (a 21 dall'Atalanta) a Gentile (a 20 dal Varese), da Capello (a 24 dalla Roma) a un elenco che potrebbe andare avanti a lungo. Gli anni Settanta della Juventus sono questi e non è un caso che per buona parte della famosa partita con l'Argentina al Mondiale 1978 (uno a zero, gol di Bettega su assist di tacco di Paolo Rossi), dopo la sotituzione di Bellugi con Cuccureddu, sia giocata con nove (!) juventini su undici. Non è caso nemmeno che ben pochi italiani, anche fra quelli anti-juventini nel resto dell'anno, tifassero contro quella Nazionale di Bearzot come invece sarebbe avvenuto più tardi con squadre azzurre caratterizzate da 'blocchi' (l'Inter per Vicini, il Milan per Sacchi, la stessa Juventus per Lippi). Insomma, la Juventus degli anni Settanta, quella di Agnelli e Boniperti, era una squadra che aveva una sua filosofia e che non vinceva solo per i soldi, visto che i giocatori li prendeva quasi tutti da giovani (infatti i record di mercato venivano stabiliti da altre squadre). E la sua onda lunga arrivò anche agli Ottanta della reintroduzione degli stranieri, con Brady, Platini, Boniek, eccetera. Era un prodotto, come del resto tutto, ma un prodotto fatto bene e che migliorava stagione dopo stagione seguendo un progetto. Apprezzata non solo dai suoi tifosi più accaniti, quindi. Poi era una squadra di potere, intoccabile sotto molti aspetti, sicuramente molti di più di quanto non sia oggi: merito e colpa della Fiat, con il ricatto perenne dell'occupazione. Di quell'epoca è rimasta negli eredi Agnelli l'arroganza, oltre che un po' di denaro nei propri conti personali. Però quando noi pensiamo alla Juventus, sarà per l'età (anzi, sarà sicuramente per questo motivo), pensiamo a Zoff, Scirea, Tardelli, Bettega, Platini, Trapattoni. E Agnelli. E' un nostro limite, lo ammettiamo, ma continuiamo a preferirli a Giraudo, Moggi e Lippi. Twitter @StefanoOlivari

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